L’ultimo marchio che ha abbandonato il “made in Italy” per essere venduto all’estero è la catena di gelati Grom, venduta al colosso anglo-olandese Unilever (LONDON:ULVR); attenzione è cambiata la proprietà ma la produzione ed il business, agli occhi del consumatore, rimarranno uguali. Per non fare confusione è necessario distinguere i vari casi:
1) Ci sono società che non erano quotate ed hanno cambiato proprietà, senza quotarsi, mantenendo il business invariato (Grom). Trattasi di società private a capitale chiuso ma il cui proprietario può essere quotato (Unilever) oppure no
2) Ci sono società che erano quotate su una piazza finanziaria ed hanno preferito la doppia quotazione (Fiat). Trattasi di società private con parte di capitale in mano ai privati (non quotato) e parte destinata al mercato (flottante quotato)
3) Ci sono società che non erano quotate e hanno cambiato assetto proprietario lasciando una parte ai privati ed una parte al mercato (Initial Public Offering); in questo ultimo caso è possibile offrire azioni sul mercato interno; per l’Italia si tratta delle società quotate sul segmento FtseMib40 della Borsa inglese, proprietaria di Borsa italiana. Nel caso di mercati esteri ricordiamo l’esempio di Ferrari appunto
4) Ci sono società quotate che hanno cambiato proprietà e listino come il caso di Bulgari con LVMH.
5) Ci sono società che rientrano nei casi sopra elencati ma sono di proprietà pubblica (Poste Italiane)
Il processo di vendita/trasferimento del “Made in Italy” (lusso, food&beverage, manifattura di qualità, gioielli, abbigliamento…) di marchi forti e conosciuti in tutto il mondo è sicuramente un segno di debolezza della nostra economia. Perché non imponiamo il nostro modello/prodotto all’estero ma cediamo la proprietà o portiamo l’azienda fuori Italia? Tre i motivi principali:
1) Le società generalmente sono a conduzione familiare con chiusura all’ingresso di altri proprietari (capitale di rischio) e favorevoli all’indebitamento bancario, spesso con eccessi e squilibri finanziari pericolosi
2) Italia = burocrazia, fisco, illegalità…poche regole certe e tanta confusione
3) Oggi con la Rete è possibile fare business ovunque (vedi start-up e cervelli in fuga)
Soluzioni? Cambio generazionale a livello di classe dirigenziale, consentire l’ingresso alla proprietà/gestione delle imprese a giovani bravi e capaci, incentivare investimenti in formazione nei campi IT e linguistico ma, prima di tutto, combattere l’ignoranza, soprattutto quella finanziaria, a partire dalle scuole dell’obbligo perché un cittadino consapevole è in grado di prendere decisioni senza delegare terzi che raramente lo rappresentano negli apparati legislativi e governativi. Tornando all’IPO Ferrari, come ogni nuova quotazione, una volta usciti i dettagli il 12 ottobre valutare:
1) Destinazione del capitale raccolto (presumibilmente investimenti ma spesso in alcuni casi di aziende in crisi serve a ripianare debiti)
2) Quota flottante (se bassa proprietà probabilmente crede nel valore della società e quindi cede poca proprietà) né troppo bassa (sotto 10%) ne troppo alta (oltre 50%) per Ferrari siamo ad un 10% fisiologico
3) Obblighi eventuale degli intermediari collocatori a tenere le azioni in portafoglio per un tempo determinato
4) Vantaggi con azioni regalate a coloro che detengono per “X” tempo il titolo in portafoglio (vedere quando scade “X”) sia nel caso di manager che di semplici azionisti
5) La forchetta di prezzo non deve essere troppo elevata