Nonostante la recessione, gli USA continuano a creare posti di lavoro.
Con il rilascio del dato sulla disoccupazione si riuscirà forse a capire (ma potrebbe essere ancora troppo presto) se la recessione USA sta riducendo i posti di lavoro. Il dato da monitorare con attenzione nei prossimi mesi, come abbiamo più volte messo in luce, sarà quindi quello del mercato del lavoro. Al 3.5% di disoccupazione attuale vuol dire che in USA tutti hanno un lavoro. Inoltre, il calo dei sussidi di disoccupazione (alla fine dello scorso giugno le posizioni lavorative aperte in USA contavano oltre 10 milioni), lasciano presagire ulteriori flessioni ben sotto il tasso naturale. Da aprile 2020, il maggiore momento della pandemia, il dipartimento del lavoro ha calcolato la creazione di 22 milioni di posti di lavoro, facendo tornare i senza lavoro ai livelli pre-pandemici. Storicamente non si è mai verificata una recessione con il tasso di disoccupazione al 3.5%.
Tutto bene quindi? Analizziamo le cose un po’ più da vicino
La disoccupazione non anticipa la recessione e quindi prima di essere causa di questa ne è l’effetto. Se questa è di breve durata e poco profonda, l’occupazione ne risente in modo moderato. Se viceversa la recessione si presenta lunga e profonda, la disoccupazione tende ad aumentare molto rapidamente. In altre parole, i posti di lavoro persi (supponendo che diventino tutti in cerca di occupazione) tendono a crescere molto velocemente man mano che il sistema economico sprofonda nella recessione. In crescita sono risultati pure i salari (+5,5% in un anno) alimentando nuove spirali inflazionistiche prezzi-salari. L’andamento del mercato del lavoro e l’inflazione saranno quindi le chiavi per capire il ritmo e la misura del rialzo dei tassi (secondo Citigroup (NYSE:C), il 21 settembre Powell alzerà i tassi di ulteriori 75 bp con una probabilità di circa 67%).
I segnali di una recessione nei prossimi 12 – 18 mesi sono chiari
Nonostante l’ottimismo dei dati sull’occupazione, ci sono tuttavia alcuni segnali che indicano l’avvicinamento ad una probabile recessione (da discutere la sua profondità e la sua lunghezza temporale): fra tutti l’inversione della curva dei rendimenti. Rallentano i consumi privati in parallelo alla flessione del prezzo delle materie prime, diminuisce la domanda di immobili residenziali e la costruzione di nuove case. Segnali questi piuttosto chiari di una recessione alle porte.
L’inflazione di luglio è scesa per due motivi
L’inflazione USA di luglio ha mostrato una decrescita all’8,5% dal 9,1% di giugno, evidenziando la flessione del prezzo di alcuni beni (benzina -10%, grano -37%, mais -27%, noli marittimi dall’Asia verso i porti della California -11,4%) e segnalando che il picco potrebbe essere stato raggiunto. Perché questa flessione? Prevalentemente per due motivi. Il primo è la distensione delle catene di approvvigionamento, almeno sul fronte della logistica USA, che diversi economisti stimano essere responsabili per circa il 2,5% - 3% della crescita dei prezzi. Il secondo è il rallentamento della crescita dei consumi privati, comunque ancora sostenuti dai forti aiuti di stato ma ormai in via di esaurimento. L’inflazione potrebbe quindi essere causa ed effetto della sua stessa riduzione. Il mercato monetario sembra crederci, scontando una riduzione dei tassi a partire dal secondo trimestre del 2023.
Difficile prevedere l’andamento dei mercati
Gli investitori non possono prevedere i mercati al ribasso ma possono prepararsi ad affrontarli. Possono guardare nello specchietto retrovisore e vedere che le obbligazioni hanno avuto una performance negativa fino ad oggi, ma i rendimenti obbligazionari attuali e cedole delle nuove emissioni sono più alti rispetto all’inizio dell’anno. La domanda è capire se il perdurare di un'inflazione elevata e l'aumento dei tassi d'interesse siano ricompresi nei prezzi delle obbligazioni (Citigroup stima il treasury decennale al 4% per fine anno). Dal nostro punto di vista, riteniamo che una sana diversificazione e titoli di alta qualità siano in grado di produrre valore, soprattutto nell'attuale situazione d'incertezza.
Con il rilascio del dato sulla disoccupazione si riuscirà forse a capire (ma potrebbe essere ancora troppo presto) se la recessione USA sta riducendo i posti di lavoro. Il dato da monitorare con attenzione nei prossimi mesi, come abbiamo più volte messo in luce, sarà quindi quello del mercato del lavoro. Al 3.5% di disoccupazione attuale vuol dire che in USA tutti hanno un lavoro. Inoltre, il calo dei sussidi di disoccupazione (alla fine dello scorso giugno le posizioni lavorative aperte in USA contavano oltre 10 milioni), lasciano presagire ulteriori flessioni ben sotto il tasso naturale. Da aprile 2020, il maggiore momento della pandemia, il dipartimento del lavoro ha calcolato la creazione di 22 milioni di posti di lavoro, facendo tornare i senza lavoro ai livelli pre-pandemici. Storicamente non si è mai verificata una recessione con il tasso di disoccupazione al 3.5%.
Tutto bene quindi? Analizziamo le cose un po’ più da vicino
La disoccupazione non anticipa la recessione e quindi prima di essere causa di questa ne è l’effetto. Se questa è di breve durata e poco profonda, l’occupazione ne risente in modo moderato. Se viceversa la recessione si presenta lunga e profonda, la disoccupazione tende ad aumentare molto rapidamente. In altre parole, i posti di lavoro persi (supponendo che diventino tutti in cerca di occupazione) tendono a crescere molto velocemente man mano che il sistema economico sprofonda nella recessione. In crescita sono risultati pure i salari (+5,5% in un anno) alimentando nuove spirali inflazionistiche prezzi-salari. L’andamento del mercato del lavoro e l’inflazione saranno quindi le chiavi per capire il ritmo e la misura del rialzo dei tassi (secondo Citigroup (NYSE:C), il 21 settembre Powell alzerà i tassi di ulteriori 75 bp con una probabilità di circa 67%).
I segnali di una recessione nei prossimi 12 – 18 mesi sono chiari
Nonostante l’ottimismo dei dati sull’occupazione, ci sono tuttavia alcuni segnali che indicano l’avvicinamento ad una probabile recessione (da discutere la sua profondità e la sua lunghezza temporale): fra tutti l’inversione della curva dei rendimenti. Rallentano i consumi privati in parallelo alla flessione del prezzo delle materie prime, diminuisce la domanda di immobili residenziali e la costruzione di nuove case. Segnali questi piuttosto chiari di una recessione alle porte.
L’inflazione di luglio è scesa per due motivi
L’inflazione USA di luglio ha mostrato una decrescita all’8,5% dal 9,1% di giugno, evidenziando la flessione del prezzo di alcuni beni (benzina -10%, grano -37%, mais -27%, noli marittimi dall’Asia verso i porti della California -11,4%) e segnalando che il picco potrebbe essere stato raggiunto. Perché questa flessione? Prevalentemente per due motivi. Il primo è la distensione delle catene di approvvigionamento, almeno sul fronte della logistica USA, che diversi economisti stimano essere responsabili per circa il 2,5% - 3% della crescita dei prezzi. Il secondo è il rallentamento della crescita dei consumi privati, comunque ancora sostenuti dai forti aiuti di stato ma ormai in via di esaurimento. L’inflazione potrebbe quindi essere causa ed effetto della sua stessa riduzione. Il mercato monetario sembra crederci, scontando una riduzione dei tassi a partire dal secondo trimestre del 2023.
Difficile prevedere l’andamento dei mercati
Gli investitori non possono prevedere i mercati al ribasso ma possono prepararsi ad affrontarli. Possono guardare nello specchietto retrovisore e vedere che le obbligazioni hanno avuto una performance negativa fino ad oggi, ma i rendimenti obbligazionari attuali e cedole delle nuove emissioni sono più alti rispetto all’inizio dell’anno. La domanda è capire se il perdurare di un'inflazione elevata e l'aumento dei tassi d'interesse siano ricompresi nei prezzi delle obbligazioni (Citigroup stima il treasury decennale al 4% per fine anno). Dal nostro punto di vista, riteniamo che una sana diversificazione e titoli di alta qualità siano in grado di produrre valore, soprattutto nell'attuale situazione d'incertezza.