Lunedì sono crollate le azioni cinesi: l’indice di Shenzhen, ad alto tasso di titoli tecnologici, è sceso del 4,28%, a 1.800,54 punti e l’indice Composito di Shanghai ha ceduto l’1,43%, attestandosi a 3.176,46 punti.
Dai dati emerge che, nel T2, la seconda economia al mondo è cresciuta del 6,9% a/a, in linea con la prestazione del trimestre precedente, ma battendo la previsione media del 6,8%.
Anche le vendite al dettaglio di giugno hanno superato le attese, attestandosi all’11% a/a rispetto al 10,6% previsto. Infine, la produzione industriale si è espansa del 7,6% a/a, superando il 6,5% previsto.
Le vendite di stamattina sono dovute alle crescenti preoccupazioni per l’eccessiva leva nell’economia e agli interrogativi sul potenziale effetto domino quando inizierà ad avere effetto la riduzione della leva.
Sui mercati finanziari, lo yuan è rimasto piatto on- e off-shore, malgrado la forza generalizzata del biglietto verde.
L’Indice del Dollaro si è rafforzato contro gran parte delle altre valute, salendo dello 0,35% contro la corona svedese e il dollaro neozelandese e dello 0,25% contro la moneta unica, riprendendosi in parte dall’ondata di vendite di venerdì.
In effetti, l’ultima serie di dati dagli USA non lascia molto spazio all’ottimismo.
Le vendite al dettaglio sono risultate negative per il secondo mese di fila, contraendosi dello 0,2% m/m (rispetto al +0,1% previsto).
Al netto di automobili e benzina, l’indice è calato dello 0,1% m/m rispetto al +0,4% delle previsioni medie.
La continua debolezza dei dati USA indica che ciò che la Fed definisce fase “transitoria”potrebbe avere radici più profonde, che indebolirebbero sicuramente le prospettive della banca circa il ritmo del rialzo dei tassi.