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Azioni USA giù dai record dopo nuova inchiesta antitrust su Big Tech

Pubblicato 12.02.2020, 13:01
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Martedì le borse USA hanno aggiornato i record, dopo che il presidente della Federal Reserve ha detto che sta “monitorando attentamente l’emergenza del coronavirus, che potrebbe provocare una battuta d’arresto in Cina con ripercussioni sul resto dell’economia globale”. La Fed, comunque, manterrà la sua impostazione attendista finché “le informazioni che ci pervengono sull’economia rimarranno sostanzialmente in linea con l’outlook”.

Nonostante i rialzi iniziali, i tre principali indici USA hanno chiuso quasi piatti sull’onda della notizia che la FTC ha aperto un’indagine contro le grandi società tecnologiche per valutare se queste abbiano acquisito piccole imprese del settore tecnologico, danneggiando così la concorrenza.

Gran parte dei settori hanno fatto registrare marginali guadagni a New York. A fare da apripista i titoli del comparto immobiliare (+1,22%) ed energetico (+1,04%), mentre i tecnologici (-0,34%) sono rimasti indietro. A proposito di violazione delle norme antitrust, i giganti della tecnologia USA sono accusati di alterare, ormai da anni, la concorrenza, ma queste accuse hanno avuto un impatto negativo ridotto sulla propensione degli investitori.

In Asia le borse hanno avuto un andamento contrastato. In Giappone, Cina e Corea, le azioni sono per lo più salite, mentre nel Sud-Est Asiatico sono prevalse le vendite. In Nuova Zelanda, l’azionario ha toccato nuovi massimi, dopo che la banca centrale (Reserve Bank of New Zealand, RBNZ) ha mantenuto il suo tasso di riferimento invariato al minimo storico dell’1,00%.

Il greggio WTI è sceso a $49,5 al barile, per poi rimbalzare oltre i $50 perché gli investitori, orfani del supporto dell’OPEC, hanno trovato speranza nell’approccio accomodante della Fed sulla scia dell’epidemia da coronavirus e delle sue implicazioni negative sulla crescita economica. Il WTI è comunque destinato a stabilizzarsi in modo durevole sotto il livello a $50, perché lo shock sul fronte della domanda probabilmente accrescerà ulteriormente l’eccedenza globale di petrolio, continuando a pesare sui prezzi del petrolio.

Martedì l’euro è sceso ai minimi da quattro mesi contro l’USD, dopo che i dati sulla fiducia degli investitori hanno deluso le attese, in una fase in cui la fiducia è ciò di cui c’è più bisogno. Nel suo intervento di ieri, la presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Christine Lagarde ha invitato ad aumentare la spesa pubblica, come aveva già fatto più volte, invano, il suo predecessore Mario Draghi. La BCE cerca il supporto dei governi perché le società europee preferiscono investire il loro denaro nel mercato, malgrado i rendimenti molto bassi, piuttosto che prendere soldi in prestito a tassi negativi. Una tendenza che si può facilmente leggere nei dati sulla produzione. I dati sulla produzione industriale nell’Eurozona, che saranno diffusi in mattinata, dovrebbero confermare una contrazione pari all’1,8% m/m a dicembre, a fronte dello 0,2% registrato il mese precedente, mentre in Germania la produzione ha subito un altro colpo inatteso. Le cifre deboli rappresentano un avvertimento, in quanto il miglioramento del mese precedente potrebbe essere stato temporaneo. Il timore che il rallentamento tedesco non abbia ancora toccato il fondo significa che la BCE potrebbe essere tentata di abbassare i tassi d’interesse in futuro, anche se, come detto in precedenza, non siamo sicuri che tagli più marcati del tasso d’interesse possano risolvere il problema dei pochi investimenti in Europa. Anche se il nostro scenario di base prevede che la BCE mantenga i tassi d’interesse invariati fino alla normalizzazione, ogni dato debole fa aumentare la probabilità che le cose cambino e pesa sulla moneta unica, facendo aumentare le posizioni corte di base.

Oltremanica, dai dati sulla crescita riferita al quarto trimestre è emerso che il Regno Unito ha schivato per poco una contrazione dell’economia, con la produzione rimasta sottotono a dicembre. La spesa dei consumatori è cresciuta al ritmo più basso dal 2015. I dati sull’inflazione, che saranno pubblicati la prossima settimana, dovrebbero mostrare un rimbalzo a gennaio, che tuttavia potrebbe non bastare per migliorare il sentiment verso la sterlina, che sembra avviata a tornare sui livelli a 1,28 nelle prossime settimane. Le inversioni di rischio per le scadenze di breve e lungo termine ci dicono che gli investitori stanno aumentando le coperture per una sterlina più debole contro l’USD, perché le crescenti apprensioni circa la seconda fase dei negoziati per la Brexit e l’attesa di un taglio dei tassi di 25 punti base dalla Banca d’Inghilterra (BoE) nella prima metà dell’anno continuano a pesare sulla valuta.

I future sul FTSE (+0,17%) puntano a un avvio leggermente positivo a Londra. Un piccolo rimbalzo del petrolio e la flessione della sterlina potrebbero fornire un certo supporto all’indice delle blue-chip britannico, ma non essere sufficiente per farlo rimanere sopra il livello dei 7500 punti.

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Grazie ottime analisi le Sue
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