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Cina, azioni attraenti e bassa correlazione con le azioni globali. Investire?

Pubblicato 06.06.2023, 06:16
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Da più parti arrivano indicazioni diverse circa la crescita della Cina. Ma quali problemi sta affrontando il colosso asiatico? Cominciamo con il dire che la Cina sta affrontando un basso tasso di natalità e un invecchiamento della popolazione simile al Giappone, con l'ulteriore sfida però di affrontare questi venti contrari prima di diventare ricca. La Cina può imparare dal Giappone aumentando la produttività attraverso riforme strutturali per sostenere la crescita economica.
 
Il tasso di natalità della Cina sta diminuendo più velocemente di quello del Giappone. Oltre all'attuazione delle restrizioni alla nascita simboleggiate dalla politica del figlio unico iniziata nel 1980, altri sono i fattori che contribuiscono alla bassa natalità: la tendenza al matrimonio tardivo e il calo della fertilità femminile. Dal 1980 al 2020, il tasso di fertilità totale in Giappone è sceso da 1,75 a 1,29. Nello stesso periodo, il tasso di fecondità totale della Cina è sceso da 2,74 a 1,28, al di sotto del livello giapponese.
 
Sia in Cina che in Giappone, il calo dei tassi di fertilità non solo ha frenato la crescita della popolazione, ma ha anche modificato in modo significativo la struttura per età della popolazione. Osserviamo le tre categorie della popolazione: bambini di età pari o inferiore a 14 anni, popolazione in età lavorativa di età compresa tra 15 e 59 anni e anziani di età pari o superiore a 60 anni, la percentuale della popolazione infantile in Giappone è diminuita dal 23,1% all'11,9% tra il 1980 e 2020, mentre la percentuale della popolazione anziana è passata dal 13,1% al 35,4%.
 
Riflettendo il fatto che l'invecchiamento della popolazione sta superando la diminuzione della popolazione infantile dovuta ai bassi tassi di natalità, la proporzione della popolazione in età non lavorativa è aumentata. Al contrario, la percentuale della popolazione in età lavorativa, che ha raggiunto il picco del 65,9% nel 1968, è ulteriormente diminuita dal 63,8% al 52,6% tra il 1980 e il 2020.
 
La Cina ha gradualmente allentato la sua politica del figlio unico negli ultimi anni. Il cambiamento più recente è avvenuto nel 2021, quando il Politburo del Partito Comunista Cinese ha approvato una politica per consentire alle coppie di avere fino a 3 figli. Nonostante ciò, il tasso di fertilità della Cina non si è ripreso. Data la gravità del problema, alla fine tutte le restrizioni alla nascita dovranno essere abolite.
 
La Cina ha incluso un aumento dell'età pensionabile legale come politica nel suo 14° piano quinquennale (dal 2021 al 2025). L'attuale età pensionabile legale è di 60 anni per gli uomini, 55 per le donne dirigenti e 50 per le lavoratrici. Ciò è stato determinato nei primi anni successivi alla fondazione della Repubblica popolare cinese nel 1949, sulla base di vari fattori come l'aspettativa di vita, le condizioni di lavoro e le pratiche di impiego. Tuttavia, poiché la popolazione in età lavorativa è diminuita mentre l'aspettativa di vita è aumentata, la carenza di fondi per le prestazioni pensionistiche è diventata più grave. Insieme all'estensione dell'età pensionabile, si prevede un'estensione del periodo di pagamento del premio pensionistico, mentre si prevede un aumento dell'età in cui iniziano a maturare le prestazioni pensionistiche. Ciò migliorerà l'equilibrio del finanziamento delle pensioni.
 
Sullo sfondo di una popolazione che invecchia, il tasso di risparmio (il rapporto tra risparmio e PIL) in Giappone e Cina ha raggiunto rispettivamente il picco del 34,1% nel 1991 e del 50,7% nel 2010, prima di scendere al 24,6% e al 45,7% nel 2021.
 
La maggior parte degli investimenti è finanziata dal risparmio interno, il tasso di investimento (il rapporto tra formazione di capitale e PIL) in entrambi i paesi è diminuito di pari passo con il tasso di risparmio. Il rallentamento degli investimenti comporta una stagnazione dell'accumulazione di capitale che, insieme a una forza lavoro in calo, riduce i tassi di crescita potenziale di entrambi i paesi. Come contromisura, è necessario aumentare la produttività attraverso l'accelerazione dell'innovazione e del potenziamento industriale.
 
Nel caso del Giappone, tuttavia, la recessione economica si è prolungata a causa del fallimento delle riforme strutturali. Ad esempio, Abenomics, con la sua politica delle “tre frecce”, ha raggiunto la piena occupazione, come dimostra il rapporto tra offerte di lavoro e persone in cerca di lavoro, superando di poco quello del periodo della bolla di fine anni '80, grazie al successo della audace politica monetaria e della flessibile politica fiscale. D'altra parte, gli effetti collaterali sono significativi, con una politica fiscale aggressiva che ha portato a un enorme debito pubblico e la persistenza di una politica di bassi tassi di interesse che ha preservato molte società zombie che avrebbero dovuto essere eliminate dal mercato. Ma anche la strategia di crescita per stimolare gli investimenti privati, possiamo dire che si sia conclusa con un fallimento.
 
L'esperienza del Giappone dovrebbe suggerire alla Cina che le misure di stimolo della domanda, in particolare le politiche fiscali e monetarie espansive, hanno nel migliore dei casi un effetto temporaneo e che le riforme dal lato dell'offerta sono essenziali per sostenere la crescita. Per evitare di commettere l'errore del Giappone, la Cina dovrebbe riformarsi e aprirsi ulteriormente capitalizzando la vitalità delle sue imprese private. Tuttavia, con la politica industriale del governo incentrata sul rafforzamento delle imprese statali e dell'innovazione interna in un contesto di ritorno alla proprietà pubblica a livello nazionale e di disaccoppiamento delle economie statunitense e cinese nelle relazioni esterne, la strada per la ripresa economica non appare facile.
 
Ma come sta andando l’economia Cinese? Vale la pena investire in Cina? Procediamo con ordine e cominciamo con l’economia. Ad inizio marzo, il governo cinese ha fissato un obiettivo di crescita del PIL del 5% per il 2023. Crescita che molti analisti considerano moderata, soprattutto dopo quella bassa del 2022 (+3%) e minore dagli anni ’70 e un'attività economica più forte del previsto quest'anno (il PIL del 1Q23 ne è un esempio).
 
A metà marzo, nel suo primo briefing con i media come premier, Li Qiang ha sostenuto che non sarà facile raggiungere l'obiettivo di crescita del 5%, considerato che il PIL cinese ha superato US 17,8 trilioni (per dare un’idea della dimensione, ricordiamo che il PIL USA è pari a US 20,3 trilioni) l'anno scorso, che è una base piuttosto elevata. Ma soprattutto il 5% di crescita deve essere inquadrato all’interno di prospettive economiche globali per nulla promettenti.
 
Nel primo trimestre l'economia ha mostrando forti segnali di ripresa grazie soprattutto ad un aumento della spesa dei consumatori e della stabilizzazione dei prezzi delle nuove case, a conferma che le misure del governo per sostenere il settore immobiliare in difficoltà cominciano ad evidenziare positivi effetti in alcune città.
 
La domanda diventa allora quali sono i driver della crescita economica nel 2023 e probabilmente nel 2024? Siamo convinti che il principale motore di crescita nei prossimi due anni saranno i consumi interni e gli investimenti manifatturieri e nelle infrastrutture. Le esportazioni saranno invece rallentate dalla minore crescita USA e UE, perlomeno nel 2023. Il settore finanziario attirerà più afflussi e investimenti diretti esteri in un RMB più forte e, crediamo, mercati finanziari migliori.
 
L'economia Cinese, al pari di tutte le altre economie mondiali, è anch’essa alle prese con diverse tipologie di rischi: come ricostruire la fiducia del mercato e riparare i bilanci delle famiglie e delle imprese; il crollo del settore immobiliare dove nonostante le autorità abbiamo promulgato il "Piano in 16 punti" per sostenere il mercato, la sua piena efficacia rimane una sfida per il futuro; il rallentamento della domanda estera nel 2023.
 
La ripresa economica dovrebbe naturalmente portare ad un aumento dell'inflazione, in particolare nel settore dei servizi. Inoltre, riteniamo che la completa riapertura della Cina aumenterà la domanda globale di materie prime il cui prezzo si ripercuoterà sull’inflazione globale. Il rischio di reflazione sembra comunque contenuto, almeno nella fase attuale, in quanto l'offerta potrebbe recuperare rapidamente terreno per soddisfare la crescente domanda nazionale.
 
A livello di politica monetaria, osserviamo come la PBoC abbia mantenuto invariati i livelli dei tassi dopo il taglio dell’agosto 2022. Ciò significa che la banca centrale mantiene una politica monetaria prudente durante il ciclo di aumento della FED. L’eventuale taglio dei tassi di interesse amplierebbe infatti l'inversione dei rendimenti Cina-USA e innescherebbe il deprezzamento del tasso di cambio del RMB e il deflusso di capitali. Riteniamo quindi che la politica monetaria si baserà maggiormente su strumenti di quantità piuttosto che di prezzo, come ad esempio tagli ai coefficienti di riserva obbligatoria (RRR) e altre misure di allentamento mirate alle PMI e ai settori colpiti dalla pandemia.
 
E quindi si investe in Cina? Crediamo che la Cina possa offrire agli investitori una interessante fonte di potenziale crescita nel 2023, visto soprattutto che diverse nazioni sono sull'orlo della recessione quale effetto degli enormi stimoli monetari e fiscali protratti nel tempo che hanno creato la base per l’esplosione dell’inflazione. Al contrario, l'inflazione Cinese anche se potenzialmente in crescita, rimane moderata, consentendo alle autorità di allentare le politiche monetarie e fiscali per sostenere la crescita economica.
 
Non ci sentiamo tuttavia di escludere che la strada da percorrere per gli investitori in Cina possa inizialmente essere accidentata. Le autorità hanno abbandonato bruscamente la loro strategia zero-Covid alla fine dello scorso anno ed evidentemente non erano del tutto preparate a passare alla vita endemica, dati i bassi tassi di vaccinazione tra gli anziani e la capacità limitata del sistema ospedaliero.
 
Per concludere, vorremmo evidenziare almeno quattro ragioni per cui gli investitori dovrebbero prendere in considerazione un'allocazione alle azioni cinesi:
 
•                 la Cina si trova sul lato opposto del ciclo economico rispetto a molti mercati sviluppati, con un'inflazione favorevole che consente ai politici cinesi di mantenere una posizione monetaria e fiscale accomodante. Ciò contribuirà a guidare la crescita economica mentre gran parte del resto del mondo sarà in recessione;
•                 le valutazioni dei mercati ci sembrano interessanti. Le azioni cinesi vengono scambiate con uno sconto di circa il 30% rispetto alla media degli ultimi 15 anni sulla base del P/E;
•                 le azioni cinesi godono di una bassa correlazione con le azioni globali. Il mercato azionario cinese evidenzia una correlazione del 25% con l'indice MSCI World. Il che significa che un'allocazione alle azioni cinesi potrebbe offrire vantaggi di diversificazione in un momento in cui le economie avanzate sono bloccate in un ciclo di inasprimento delle politiche monetarie;
•                 il governo cinese è impegnato a promuovere la cultura dell'innovazione per guidare la crescita economica. In questo ha un innegabile vantaggio in quanto produce un numero maggiore di laureati in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica, grazie alla vastità della sua popolazione. Detiene per esempio già un'ampia quota di mercato globale nella produzione di energia solare, a batteria ed eolica.
 
 

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Ultimi commenti

il loro settore nautico è molto interessante
👍
distinguerei tra azioni di classe A ( investibili ovviamente con uno strumento sintetico ) che non sono andate così male , H ( disastro totale ) , le Adr Usa ( decisamente male , anche per motivi geo-politici ) .E comunque il bubbone immobiliare sullo sfondo , ancora lontano dall'essere risolto , impone molta prudenza .
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