Ieri lo yen giapponese è sceso in picchiata, con l’USD/JPY salito a 110,45, livello massimo dal 2 febbraio.
Gran parte del movimento è da imputare alle rinnovate vendite di titoli del Tesoro USA, cosa che ieri ha spedito il rendimento dei decennali al 3,09%, alimentando un altro rally del dollaro. Sembra, infatti, che i partecipanti al mercato stiano ignorando del tutto gli sviluppi locali in Giappone e siano concentrati unicamente sugli sviluppi che riguardano l’USD.
Infatti, anche se nel primo trimestre l’economia giapponese ha segnato una contrazione (-0,2% t/t a fronte dello 0,0% delle previsioni medie e del +0,1% del T3), lo yen ha stornato parzialmente i guadagni e l’USD/JPY è poi sceso a 110,08, in calo dello 0,15% su base infragiornaliera.
Nel frattempo, il rendimento dei decennali USA è scivolato al 3,06%, in flessione di 3,7 punti base dal massimo di ieri.
Le crescenti tensioni derivanti dalla guerra commerciale iniziata da Donald Trump, il ritiro unilaterale degli USA dall’accordo sul nucleare iraniano, che crea nervosismo con l’Unione Europea, e soprattutto con la Francia, nonché la recente inaugurazione dell’ambasciata USA a Gerusalemme, non sono sufficienti a frenare la propensione al rischio e innescare un recupero dello yen.
Attualmente l’unica cosa che conta è l’ampliarsi delle divergenze fra le politiche monetaria della Federal Reserve e della Banca di Giappone.
Inoltre, non si può escludere che la Fed possa rallentare il ritmo del suo restringimento, la BoJ è lontanissima da un restringimento delle sue condizioni monetarie alla luce dello stallo nelle pressioni inflattive e della crescita anemica.
Rimaniamo fondamentalmente lunghi sull’USD/JPY, l’obiettivo di medio termine è il livello a 114.