La versione originale di questo articolo, in inglese, è stata pubblicata il giorno 14.02.2019
L’EIA ha rivisto al ribasso le sue previsioni sulla domanda di greggio globale 2019 questa settimana. Sebbene la revisione sia minima - 101,45 milioni di barili al giorno rispetto a 101,54 milioni - rispecchia i crescenti timori che il rallentamento economico globale possa avere un impatto sui consumi di greggio e pesare sui prezzi della materia prima.
In effetti, l’EIA prevede che le scorte di greggio globali salgano ad un tasso di 400.000 barili al giorno nel 2019. Questa settimana anche l’OPEC ha effettuato delle revisioni al ribasso delle sue previsioni, aspettandosi che la domanda di greggio nel 2019 supererà quella del 2018 solo di 1,24 milioni di barili al giorno. Si tratta di una riduzione di 50.000 barili al giorno rispetto alle stime precedenti.
Il prezzo del greggio è salito malgrado queste notizie economiche deludenti, probabilmente perché il ministro del petrolio saudita, Khalid al-Falih, ha annunciato che l’Arabia Saudita intende tagliare la sua produzione a quasi 9,8 milioni di barili al giorno a marzo con un calo delle esportazioni petrolifere a 6,9 milioni di barili al giorno. Non ha fornito le ragioni del taglio che porta la produzione ben al di sotto della quota di 10,3 milioni di barili al giorno prevista per il paese dall’accordo OPEC.
E questo spinge a chiedersi se l’Arabia Saudita non stia cercando di giocare il ruolo di “swing producer” tagliando la sua produzione per impedire ai prezzi di scendere troppo. È una strategia che il paese ha adottato per un periodo negli anni Ottanta, sotto la guida dell’allora ministro del petrolio Zaki Yamani. Anziché spingere tutti i membri OPEC a tagliare la produzione nello stesso momento, il regno aveva cercato di tenere i prezzi alti riducendo unilateralmente la produzione petrolifera.
Tuttavia, la mossa non ha avvantaggiato l’Arabia Saudita all’epoca e il risultato è stato che il paese ha perso un sacco di soldi. L’esperimento fallito è stato il principale motivo che ha spinto Ali al Naimi a rifiutare di tagliare la produzione nel 2014 quando non aveva ottenuto la collaborazione di altri paesi, tra cui i membri non-OPEC. Nel 2014 Naimi, ministro del petrolio della nazione dal 1995 al 2016, ha infatti respinto l’idea che l’Arabia Saudita si accollasse da sola il fardello dei tagli alla produzione.
La situazione ora è esattamente la stessa degli anni Ottanta e del 2014. Tuttavia, poiché l’Arabia Saudita ha unilateralmente ridotto la produzione per vari mesi di fila, gli osservatori del mercato del greggio dovrebbero chiedersi se il paese non stia cercando di essere uno “swing producer” e spingere i prezzi per conto suo. Gli osservatori dovrebbero inoltre interrogarsi sull’efficacia di questo piano per il settore petrolifero, l’economia e le casse dello stato dell’Arabia Saudita.
Se il paese sta cercando di essere uno “swing producer”, allora un grosso problema è il fatto che gli Stati Uniti sembrano in grado di compensare qualsiasi carenza sul mercato derivante dai tagli sauditi. I sauditi sono consapevoli delle capacità statunitensi, quindi a meno che non ci sia un motivo tecnico dietro ai tagli alla produzione previsti dal paese mediorientale, è difficile che il regno effettui dei tagli maggiori ad aprile. Inoltre, è poco probabile che l’Arabia Saudita aumenti i tagli dal momento che la Russia deve ancora mantenere la parola data durante l’ultimo vertice OPEC+ di dicembre e ridurre la sua produzione.
Negli Stati Uniti probabilmente si registrerà un aumento delle scorte nelle prossime settimane in quanto ci troviamo nel periodo di manutenzione delle raffinerie. Per diversi mesi, le raffinerie negli Stati Uniti hanno funzionato a pieno ritmo. Ora le raffinerie stanno rallentando o sospendendo le attività per effettuare la manutenzione annuale e prepararsi a produrre le miscele estive di benzina. Anche le esportazioni USA di greggio e prodotti raffinati sono scese, comportando un aumento delle rispettive scorte.