Buongiorno ai Lettori di Investing.com.
Il dollaro recuperava un po’ di smalto proprio a ridosso del meeting della Federal Reserve di stasera, ma i guadagni intrapresi nella giornata di martedì venivano in parte ridimensionati in chiusura della sessione di New York.
Nel frattempo l’accordo definitivo sulla riforma fiscale, ovviamente tra i repubblicani, non è arrivato: il senatore Cornyn, il n. 2 repubblicano del Senato, s’è comunque detto fiducioso e l’accordo potrebbe arrivare entro Natale.
Ciò che però ha condizionato l’andamento del biglietto verde è stata la dichiarazione di un altro senatore repubblicano, Rand Paul, che s’è detto contrario al disegno di legge. Un rifiuto che peraltro non avrebbe particolari ripercussioni perché rammentiamo che il Senato si può permettere due defezioni.
Ma chiaramente l’attenzione degli investitori sarà focalizzata all’ultima conferenza stampa della Yellen, perché il vero focus sarà l’orientamento della FED per il 2018. Il rialzo dei tassi, il terzo e ultimo dell’anno, è dato per scontato tant’è i futures sui fondi federali danno una probabilità del 98%.
Che significa? Che il mercato lo ha già scontato, che il mercato presterà attenzione alle dichiarazioni e che terrà conto del fatto che il prossimo Presidente Powell potrebbe influire fin da ora – essendo membro votante del Consiglio Federale – sulla testimonianza della Yellen.
Andranno tenuti d'occhio i dot-plot perché nel meeting di settembre si prevedevano tassi al 2,75% a più lungo termine, ovvero c’era stata una revisione al ribasso rispetto alla previsione precedente del 3%.
Tradotto, la FED potrebbe alzare 2-3 volte i tassi d’interesse nel corso del 2018, il primo dei quali potrebbe avvenire entro giugno ma qualora emergessero novità in tal senso – un ritardo o un anticipo – il biglietto verde potrebbe subire importanti scossoni.
Sul fronte macro economico, lo sappiamo, gli USA viaggiano a pieno regime tuttavia vi sono alcuni elementi che predicano prudenza.
La spesa dei consumatori rimane debole, l'inflazione è bassa e gli ultimi rapporti ISM mostrano un rallentamento dell'attività manifatturiera e dei servizi. Il mercato del lavoro è in buona salute ma i salari sono nuovamente diminuiti.
Il settore immobiliare è il solo settore che mostra costanti miglioramenti, ma le modifiche fiscali potrebbero far abbassare la domanda e conseguentemente i prezzi.
Saranno tutti elementi dei quali la FED terrà conto, pertanto ci sono tutti gli ingredienti per un appuntamento imperdibile e scoppiettante.
Ma attenzione, quando le aspettative sono così alte si corre il rischio di restare col cerino in mano ed è per questo che si potrebbe assistere a una timida reazione dei mercati, staremo a vedere.
E’ chiaro che l’Euro potrebbe risentire tanto degli accadimenti di stasera quanto – soprattutto – dell’altro appuntamento imperdibile di settimana: il meeting della BCE.
Difficile fare previsioni, non sarebbe professionale, quel che si può dire è che andranno tenuti d’occhio livelli chiave importanti come ad esempio 1,18 e 1,20 sul cambio EUR/USD.
La sterlina continua a essere guidata dagli umori Brexit, basti pensare che gli investitori hanno totalmente ignorato i dati sull’inflazione. Non che ci siano state novità eclatanti, questo va detto, ma i prezzi al consumo sono cresciuti ancora dello 0,3% nel mese di novembre, guidando il tasso annuo al 3,1% dal 3%.
I negoziati sulla Brexit, dopo l’ottimismo dei giorni scorsi, sembrano aver subito un rallentamento dopo che il segretario britannico Fox ha dichiarato di volere un accordo commerciale praticamente identico all’attuale.
L'UE, al contrario, vorrebbe un accordo simile a quello canadese.
Questi dissidi hanno indotto Barnier a dichiarare che sarà difficile stilare un accordo commerciale completo entro marzo 2019 e queste parole non lasciano presagire nulla di buono.
Concludiamo la panoramica evidenziando come le valute asiatiche (neozelandese e australiano) stanno recuperando terreno sul Dollaro, cosa che invece non sta accadendo al canadese che ha risentito del calo dei prezzi del petrolio e del calo dei rendimenti obbligazionari.