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La crisi politica in Venezuela sta peggiorando. Ieri, Stati Uniti, Canada, Brasile e una serie di altri paesi dell’America Centrale e meridionale hanno ufficialmente riconosciuto il leader dell’opposizione in Venezuela, Juan Guaido, come presidente ad interim al posto di Nicolas Maduro, il cui regime ha portato il paese sudamericano al collasso economico.
Guaido è stato presidente dell’Assemblea Nazionale Venezuelana prima di assurgere a questo nuovo, controverso, ruolo. Inoltre, il governo Trump sta ora apertamente prendendo in considerazione l’applicazione di sanzioni sulle esportazioni di greggio del Venezuela.
Gli Stati Uniti hanno già applicato una serie di sanzioni contro Maduro e i suoi sostenitori, ma hanno finora evitato di sanzionare il greggio del paese. Ma questo potrebbe cambiare. Il Presidente Trump ha affermato di stare prendendo in considerazione sanzioni simili tra l’aumento delle proteste contro il governo sempre più autoritario di Maduro.
La scorsa settimana, ho parlato del potenziale impatto di tali sanzioni sulla raffineria Citgo negli Stati Uniti. Tuttavia, ci sono potenziali implicazioni maggiori per il prezzo del greggio e per i mercati che le sanzioni sul greggio venezuelano potrebbero causare.
Il Venezuela possiede i più grandi giacimenti di petrolio al mondo. Il greggio di facile estrazione è stato scoperto per la prima volta nel paese nel 1914 nei pressi del lago di Maracaibo, ma la maggior parte dell’attuale produzione della nazione deriva dai giacimenti molto più costosi e più difficili da sfruttare della fascia dell’Orinoco. La produzione petrolifera venezuelana è arrivata al massimo di 3,4 milioni di barili al giorno, ma è scesa a meno di 1,2 milioni di barili al giorno nel 2018. Il Venezuela è la terza principale fonte di petrolio estera per gli Stati Uniti (Canada ed Arabia Saudita esportano più greggio rispetto al Venezuela negli USA). Poco meno della metà dell’attuale produzione del paese viene esportata verso raffinerie negli Stati Uniti, una delle quali, Citgo, è di proprietà della PdVSA.
Il greggio del paese è perlopiù greggio pesante ad alto contenuto di zolfo, spesso mescolato con altri tipi di greggio per la lavorazione. Se il Venezuela non fosse più una fonte di questo tipo di greggio, il prezzo di questa varietà salirebbe. In effetti, secondo Reuters, il prezzo di alcuni tipi di greggio simili è arrivato a 6,25 dollari martedì.
Anche il Canada produce un greggio simile, nella regione delle sabbie bituminose ad Alberta. Tuttavia, le raffinerie USA interessate, che si trovano principalmente nella regione del Golfo del Messico, incontrerebbero delle difficoltà a riceverlo, in quanto Alberta sta affrontando degli importanti problemi legati al trasporto. Dirottare il greggio dal Medio Oriente non è un’opzione ideale, in quanto ci vorrebbe molto tempo.
Di conseguenza, se dovessero esserci delle sanzioni, le raffinerie nel Golfo del Messico che usano il greggio venezuelano si ritroverebbero davanti a costi più alti. Se dovranno funzionare a meno della piena capacità, potremmo vedere persino degli aumenti dei prezzi della benzina in alcuni posti.
Se gli Stati Uniti dovessero sanzionare il greggio venezuelano, è probabile che il Venezuela smetta di acquistare i prodotti petroliferi americani, anche se una tale decisione danneggerebbe più il Venezuela che gli Stati Uniti. Secondo l’EIA, il Venezuela ha importato più di 3 milioni di barili di prodotti petroliferi dagli Stati Uniti ad ottobre 2018.
Le raffinerie venezuelane sono state devastate e non possono più produrre benzina e altri prodotti petroliferi sufficienti a soddisfare la domanda locale. Dal 2016, il Venezuela importa diluenti dagli Stati Uniti, prodotti petroliferi che vengono mescolati al suo greggio pesante in modo da poterlo esportare. Se i commerci con gli Stati Uniti dovessero interrompersi del tutto, le esportazioni petrolifere venezuelane verso altri clienti potrebbero crollare fino a quando non troverà un’altra fonte di diluenti.
Le entrate che il Venezuela riceve dal mercato statunitense vengono generalmente usate per finanziare il bilancio del paese. Il resto del ricavato delle vendite petrolifere va direttamente a finanziare i pagamenti degli interessi sui prestiti che il Venezuela ha ricevuto, tra gli altri, da russi e cinesi.
Se il Venezuela dovesse mancare i pagamenti nei confronti della russa Rosneft (MCX:ROSN), la compagnia petrolifera russa potrebbe intervenire ed impossessarsi degli asset petroliferi venezuelani negli Stati Uniti. Infatti, il 49,9% di Citgo al momento fa da collaterale ai debiti di PdVSA nei confronti di Rosneft.
È molto probabile che il governo statunitense bloccherebbe un’acquisizione di Citgo da parte di Rosneft per motivi di sicurezza nazionale ma ciò potrebbe portare ad uno scontro e ad uno stallo tra Venezuela, Russia e Stati Uniti. Se PdVSA andasse in default e se il governo USA impedisse a Rosneft di acquisire una partecipazione in Citgo, potrebbe esserci una vendita di queste azioni ad un’azienda più neutra su cui tutti sono d’accordo (probabilmente con uno sconto).
Chiaramente, le sanzioni sarebbero molto dannose per il Venezuela. Tuttavia, l’effetto immediato delle sanzioni sarebbe significativo anche per gli Stati Uniti. Al momento, gli Stati Uniti sono pieni di prodotti petroliferi. Le raffinerie funzionano a pieno ritmo e le scorte di prodotti stanno aumentando nei magazzini.
Il Messico ha bloccato le importazioni dagli Stati Uniti mentre cerca di risolvere i problemi dei furti nella sua infrastruttura di oleodotti. Se anche il Venezuela dovesse sospendere tutte le importazioni dagli Stati Uniti ci sarebbero maggiori accumuli di prodotti petroliferi.
La maggior parte degli analisti si aspetta che la produzione petrolifera venezuelana scenda a meno di un milione di barili al giorno nel 2019. Tuttavia, se il processo dovesse essere accelerato dalle sanzioni, allora entro maggio potrebbe esserci anche un’impennata dei prezzi del greggio.
La concomitanza delle sanzioni contro il Venezuela, dell’inizio della stagione di guida estiva negli Stati Uniti, della conclusione di alcune o di tutte le esenzioni concesse agli importatori di greggio iraniano, e dei tagli alla produzione dell’OPEC+ potrebbero portare ad un mercato del greggio molto più in tensione questa primavera.
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