Ieri sera la Federal Reserve ha pubblicato i verbali relativi all'ultimo meeting di politica monetaria in occasione del quale i tassi di interesse sono rimasti invariati a 0,75%.
Gli operatori contavano di ottenere informazioni più precise, specialmente dopo che la stessa governatrice Yellen la settimana passata aveva pronunciato parole molto chiare in questo senso.
Quanto emerso dai verbali lascia poco spazio alle intrepretazioni: il prossimo rialzo dei tassi è più vicino di quanto si pensi.
Un particolare molto interessante che si è appreso circa l’ultimo meeting, è rappresenanto dal fatto fatto che gran parte della discussione del Federal Open Market Committee (FOMC) è ruotata intorno al nuovo Presidente degli Stati Uniti e sui cambiamenti che la sua amministrazione potrebbe introdurre, concludendo che, anche in base a queste considerazioni, un rialzo dei tassi sarebbe immininente.
Sembra infatti che il neo Presidente Trump sia orientato in direzione di tasse più basse e regolamentazioni meno rigide: entrambi fattori che rappresentano uno stimolo all'economia e che necessitano quindi di un minore sostegno da parte della banca centrale.
Una situazione come quella appena descritta rappresenta probabilmente il sogno di Mario Draghi: trovarsi quasi costretto ad alzare i tassi di interesse in seguito all’attuazione di politiche fiscali che non necessitano il supporto da parte della banca centrale. In merito a questo il presidente della BCE non ha mai perso occasione di incalzare i governi europei, ma la situazione del vecchio continente è indubbiamente più complicata.
Tornando ai verbali di ieri sera, si nota come i membri del comitato abbiano evidenziato un aumento della fiducia delle imprese dopo l’elezione di Donald Trump, fattore che, unito agli indici azionari sui massimi, alla bassa volatilità e ad un’ inflazione salita al 2,5% creano una potenziale situazione di imminente rialzo dei tassi di interesse.
Il mercato sembra però essere ancora dubbioso a proposito: i futures sui tassi danno infatti solamente il 18% di probabilità di intervento il 15 marzo ed il 44% il 3 maggio.
Va sottolineato che il meeting al quale i verbali fanno rifermento si è svolto prima degli ultimi e fortissimi dati sull’inflazione che molto probabilmente avranno ulteriormente rafforzato la posizione del FOMC. In questo senso avranno un ruolo chiave il dato sul PIL del 28 febbraio ed i dati sul mercato del lavoro del 10 marzo: se anche questi confermeranno l’attuale forza dell’economia americana le probabilità di un intervento per 15 marzo sono destinate a salire molto.
QUALE IMPATTO AVREBBE UN RIALZO DEI TASSI DI INTERESSE SUL DOLLARO?
Nel brevissimo periodo il Dollaro tenderebbe probabilmente ad apprezzarsi, ma con un intervento di rialzo dei tassi, contrariamente a quanto si possa pensare, non si va necessariamente a rafforzare la valuta di riferimento. Infatti il mercato non reagisce mai in base a ciò che è stato (quindi all’eventuale comunicazione dei tassi in crescita) ma sempre in virtù di ciò che sarà.
Come ben noto a tutti negli ultimi anni il Dollaro si è rafforzato molto e il motivo alla base di ciò è stato proprio il fatto che il mercato aveva già iniziato a posizionarsi in vista di tassi di interesse in crescita negli Stati Uniti.
Ciò implica che quando la FED interverrà davvero, gli operatori avranno già in portafoglio i Dollari precedentemente acquistati in vista proprio di tale intervento e per questo la reazione rialzista sul Dollaro molto probabilmente sarà solamente di breve periodo.
Alessandro Bonetti
(Bonetti Financial)