Arrivo subito al dunque!
Purtroppo sembrerebbe proprio di si e ricordando una celebre frase del film “The perfect storm” di Wolfgang Petersen mi verrebbe da dire: “che stiamo facendo! Invertiamo la rotta, ci stiamo cacciando dritti in bocca a quella mostruosità!”
Ovvero, l’uragano che si intravede, negli ultimi mesi ha preso forza ed ora, attraversandolo, potrebbe farci uscire con “le ossa rotte”
Se mesi or sono paventavo l’idea che in area 17800 (al momento 90% di pox di arrivarci) si sarebbe potuto iniziare cautamente a riposizionare il portafoglio Long Multiday o tipo “cassettista”, oggi invece nutro dubbi a riguardo, consapevole che i rischi di giungere almeno in area-fascia 16000-15000 sono saliti al 65% (e 25% di andare sotto); pertanto, attenzione a facili entusiasmi in caso il FTSE-MIB tornasse in area 20500 (pox 45% di arrivarci e 20% di superali)
Quali sono le motivazioni di tanto pessimismo?
Iniziamo col dire che le ultime stime del FMI vedono una crescita mondiale al 3.7% nel 2019; un taglio di uno 0.2% che apparentemente non “graffia”, ma come cita testualmente il rapporto del 3 Ottobre scorso:
“The steady expansion under way since mid-2016 continues, with global growth for 2018–19 projected to remain at its 2017 level. At the same time, however, the expansion has become less balanced and may have peaked in some major economies. Downside risks to global growth have risen in the past six months and the potential for upside surprises has receded.”
“La costante espansione, in corso dalla metà del 2016, continua con una crescita globale prevista per il 2018-19 sugli stessi livelli del 2017. Al tempo stesso però, l’espansione è diventata meno equilibrata e potrebbe aver raggiungo il suo massimo nelle economie piu’ avanzate. Negli ultimi 6 mesi il livello di rischio di un ribasso della crescita mondiale è cresciuto mentre le possibilità di assistere a crescite sopra le stime sono calate”
La guerra commerciale tra Washington e Pechino, nel suo inasprirsi, certamente non gioverà a nessuno e, come già accaduto in passato, potrebbe invece essere del tutto controproducente
Parlando dell’Europa e dell’Italia, le stime di crescita previste per il 2019 dalla Commissione Europea vedono un leggero taglio dello 0.1% per entrambe che porta ad un + 2,1% per la zona EU mentre ad un +1.1% per la nostra Penisola
Ma in Europa, tra gli altri, c’è ancora un problema che ci riguarda da vicino (non solo irrisolto ma attualmente in “fase di guerra” –scontro Governo-UE-): il settore bancario ed il debito pubblico italiano
Non voglio entrare nel merito della questione che meriterebbe un altro articolo e di cui comunque ho già avuto modo di approfondire in precedenza, ma mi limito a qualche considerazione:
il nostro coefficiente NPL, che da dati EBA nel 2016 era del 17%, al 30 Giugno 2018 è sceso al 9.7% ma rimane al 4^ posto nella classifica dei peggiori (dietro Portogallo al 12.4%, Cipro al 34.1% e Grecia al 44.8%); per livellarsi alla media europea, che ora è del 3.6%, dovrebbe ridursi di un altro 5%. Ci ricordiamo quanto è costato nel 2016 ridurlo di una percentuale simile (il problema nascerebbe solo in caso di accelerazioni per lo smaltimento)?
Sempre secondo l’ultimo rapporto EBA rimangono a livello rosso e quindi ad “alto rischio” tutte le seguenti voci: rischio del credito, rischio del mercato (aumentato), rischio operativo, rischio redditività e rischio legato a debiti sovrani
Il rischio debito Italia
I titoli in portafoglio alle nostre banche ammonta a circa 350 Mld: e se è vero che per Unicredit (MI:CRDI) (ne detiene circa 50 Mld.) e Intesa (MI:ISP) (circa 37 Mld) uno spread anche a 500 non metterebbe a repentaglio l’Istituto (considerando un utile potenziale annuo di circa 4 Mld.) per alcune altre (vedi BAMI che ne detiene 25 Mld, UBI (MI:UBI) 13 Mld. e MPS (MI:BMPS) 17 Mld.) potrebbe essere una debacle, con il solito effetto a catena a seguire (a meno di leggi “salvaguardia” studiate “ad hoc”).
E come la storia insegna, gli effetti a catena sono di difficile interpretazione e il risultato finale è sempre inquantificabile
Ad ogni modo vale anche la pena rimarcare che, al momento, le possibilità di un default “programmato” italiano alle condizioni in cui oggi è concepita l’Unione Europea sono dell’1%, quindi nulle. Però, come i mercati insegnano, anche possibilità che prima erano all’1% non sono mai da escludere e sottovalutare (Brexit insegna)
A tutto quanto sopra, negli ultimi mesi altri due dati hanno assunto (o stanno assumendo) una notevole rilevanza: il prezzo dell’oro e la curva dei tassi dei Treasury americani
ORO
Dal doppio minimo di fine Settembre a 1180 la quotazione ha iniziato una reazione che ha raggiunto quota 1254 di venerdi registrando un rialzo del 6.5% circa (segnale Long solo sopra 1400) mentre il BRENT WTI a fine Novembre ha ceduto l’importantissimo supporto in area 55.00
TREASURY
Un indicatore che “non mente” (al 95%). Come vedete dal grafico la curva dei rendimenti dei titoli di Stato Americani a 2 e 10 anni si è appiattita. Infatti all’ultima rilevazione del 7 dicembre il 2 anni rendeva 2.719% e il 10 anni 2.858
Cosa significa? E’ evidente che quando si investono dei soldi in Bond per lungo tempo (10 anni), si è disposti a farlo se ci si guadagna qualcosa in piu’ rispetto al breve (2 anni) in quanto i rischi a lungo termine sono piu’ alti rispetto a quelli di breve; infatti su questi ultimi si possono fare delle previsioni (cosa impossibile invece nell’arco temporale di 10 anni)
Qualora invece i rendimenti si equivalgano (appiattimento) o addirittura ci fosse un’inversione nascono dei segnali di pericolo. Questo perchè gli investitori stanno “fiutando” qualche criticità “imminente” e quindi richiedono maggiori interessi per “assorbire” il rischio.
E’ stato così alla fine degli anni ’90 (Crisi del Sud-Est Asiatico, Russia e Brasile) e l’inversione della curva avvenuta a metà del 2000 portò il Dow Jones dagli 11000 punti di settembre al minimo di 7700 del settembre 2002 (-30%) e cosi’ è stato anche con la Grande Recessione USA del 2007 con l’inversione dei rendimenti avvenuta nel 2006 che portò l’indice americano dai 13800 punti del settembre 2007 al minimo di 6600 del marzo 2009 (-52%)
Ora, se anche questa volta tale indicatore risulterà affidabile è difficile a dirsi (nota: l’inversione della curva non è ancora avvenuta). Inoltre, la maggior parte degli analisti sostiene che questo appiattimento rifletta “esclusivamente” l’influenza distorsiva della politica monetaria della FED e che comunque l’economia americana gode ancora di buona-discreta salute
Io non ho la risposta “giusta”, ma credo che tutto quanto sopra sia da prendere nella dovuta considerazione evitando, al momento, di assumersi dei rischi notevoli con posizionamenti importanti Multiday o “tipo cassettista” che potrebbero portare a conseguenze pesanti
Personalmente, ribadendo che le pox di arrivare in area/fascia 16000-15000 sono salite al 65%, il “consiglio” rimane quello di operare a stretto giro (2-3gg) con SL tassativi, tenendo ben in mente che, per l’indice meneghino, sopra 20500 ci sarebbero segnali distensivi MA SOLO sopra 22600 (5% pox) si potrà ritornare a parlare di Long.