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I mining pool distruggeranno la sicurezza delle criptovalute?

Pubblicato 23.04.2018, 14:04
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Con l’aumento dell’interesse per le criptovalute, si è registrato un corrispondente incremento dell’attività di mining da parte dei fan. Sembra promettente per la classe di asset, no? C’è però un significativo lato negativo in questo sviluppo apparentemente positivo.

Anche i mining pool, cioè gruppi di miner che mettono insieme le loro risorse al fine di condividere sia i costi che l’efficacia del potere di elaborazione della rete, hanno visto un’espansione. I partecipanti ai mining pool, inoltre, dividono i compensi in modo equo, in base alla quantità di lavoro svolto per contribuire alla probabilità di trovare un blocco.

HashRate Distribution

Solo nel mondo del Bitcoin, secondo stockstotrade.com, in base alle informazioni raccolte alla fine del gennaio 2018, tutti i 10 principali operatori del cripto-mondo in termini di hashrate erano mining pool, con una partecipazione di mercato combinata, per quel periodo, pari all’86,5%. AntPool, il principale mining pool del mondo, possedeva il 17,4% del mercato, mentre BitFury, il maggiore servizio di mining in cloud, era l’undicesimo della lista, con solo il 2,8%.

Chi sono i principali miner delle cripto al momento? Manish Kumbhare, cofondatore di Peppermint-Chain afferma che al momento i cinque principali miner sono BTC.com, ViaBTC, AntPool, BTC.TOP e Slushpool. Insieme, possiedono il 65% di hashrate per via dei loro investimenti in mining concentrati. L’hashrate è il risultato di una funzione hash, la velocità alla quale avviene un’operazione in codice Bitcoin (o di un’altra criptovaluta).

Per esempio, un hash rate alto è meglio per i miner dal momento che aumenta le probabilità di trovare il blocco successivo e di ottenere una ricompensa. I miner di Bitcoin contribuiscono al processo di mining verificando in modo sicuro le transazioni e piazzando blocchi di dati in un ledger pubblico decentralizzato, che di solito richiede una costosa attrezzatura personale.

I mining pool possono però ridurre o, nei peggiori dei casi, persino bloccare le opportunità per i singoli miner. Aumenta la possibilità di una collaborazione per un attacco di quasi il 51%.

Oltre a stravolgere la natura decentralizzata delle criptovalute - uno dei principi cardine della classe di asset - questi pool possono anche insidiare le operazioni minori, alimentando i timori di “un attacco del 51%”. Per chi non sapesse cos’è un “attacco del 51%”, si riferisce ad un assalto ad una blockchain da parte di un gruppo di miner che controllano più del 50% dell’hashrate di mining della rete, cioè della potenza di elaborazione.

Come tale, esiste la possibilità reale che la sicurezza delle cripto possa essere seriamente messa in pericolo. Questo articolo ha fini puramente informativi. Non è nostra intenzione creare la cosiddetta FUD (“fear, uncertainty and doubt”, paura incertezza e dubbi). Al contrario, il fine di questo articolo è analizzare i rischi e discutere apertamente della questione.

In teoria, i mining pool sono un ottimo modo per consentire alla gente di lavorare insieme per minare una determinata valuta digitale, afferma Marc Bernegger, un imprenditore web ed investitore che opera in Svizzera, membro del direttivo di Falcon Private Bank e consulente ICO di SwissRealCoin.

“I mining pool sono in realtà un argomento interessante. Ma centralizzando i processi si elimina la gran parte di quello che rende tanto affascinanti le criptovalute. A sua volta, ciò espone miner e fan ad un aumento dei problemi legati alla sicurezza, con la conservazione dei dati degli utenti - e delle loro valute - in un unico posto”.

Concorda nel dire che la questione dell’attacco del 51% costituisce una fonte di preoccupazione. Essenzialmente, questo significa che quando un pool diventa troppo grande, troppo potente, può in teoria controllare il 51% del potere di hash della rete. Ottenendo la maggioranza della rete, diventano possibili questioni come impedire che nuove transazioni ottengano conferma, bloccare i pagamenti, la doppia spesa.

Solo venerdì scorso, Motherboard ha riportato che AntPool ha annunciato sui social di aver “bruciato” il 12% del denaro ottenuto minando Bitcoin Cash, al fine di gonfiare il valore del BCH correggendo la disponibilità della valuta alternativa, costringendo gli investitori a tenersi stretta la loro fornitura piuttosto che venderla e di conseguenza comportando un aumento del valore di ciascun token.

BCHUSD Daily

Non è chiaro se il tentativo di AntPool di “proteggere” il mercato avrà successo nel far salire il prezzo del BCH a lungo termine, ma mostra i possibili modi in cui un mining pool forte potrebbe potenzialmente monopolizzare il cripto-mercato. E spinge inoltre a chiedersi: è possibile accorpare un tale potere computazionale da poter compiere un attacco del 51%?

Alexander Demidko, cofondatore di Fluence nonché direttore di ricerca, ritiene che sia possibile ma non necessariamente probabile.

“Chiunque abbia abbastanza risorse e determinazione potrebbe farlo. Ma raggiungerlo in pratica è un’impresa quasi impossibile. Perché? Chi attacca dovrà non solo ottenere il controllo di oltre il 51% della rete, già difficile di per sé, ma anche sostenere questo controllo abbastanza a lungo da avere l’opportunità [di eseguire] cattive azioni. E tutto senza farsi notare da nessuno”.

Ryan Taylor, Amministratore Delegato di Dash Core Group fa notare che per qualsiasi blockchain che utilizza un meccanismo di conferma proof-of-work, la formazione di mining pool è inevitabile. Spiega che la storia della minaccia di un attacco del 51% ad opera dei mining pool tende ad essere eccessivamente semplificata, in particolare quando riguarda grandi reti consolidate come quella del Bitcoin.

Una delle innovazioni più significative della tecnologia blockchain è rappresentata dal meccanismo di conferma e dal modo in cui incentiva la fiducia tra parti che sanno poco o niente l’una dell’altra, afferma Taylor. Monopolizzare l’attività di mining potrebbe avere conseguenze negative non solo per l’asset ma anche per il mining pool coinvolto nel processo:

“Vari mining pool potrebbero in teoria collaborare in modo tale da ottenere il potere di eseguire un attacco, ma sarebbe controproducente. Se uno degli attaccanti dovesse usare in modo disonesto la propria capacità per riscrivere la cronologia delle transazioni, i partecipanti della rete perderebbero rapidamente la fiducia nella blockchain attaccata. Una perdita di fiducia si tradurrebbe velocemente in cali di prezzo, che eroderebbero i ritorni dei massicci investimenti nelle attrezzature di mining. Dal momento che un attacco del 51% non esenta dal rischio chi attacca, la realtà è che potrebbe non esistere lo scenario in cui un attacco del 51% sia economicamente fattibile per chi attacca”.

I gruppi di aziende non sono l’unico tipo di mining pool esistente al momento. La Cina controlla circa il 60-75% della rete di mining secondo David Fragale, cofondatore di Atonomi. Al momento ci sono oltre 1.500 criptovalute disponibili, spiega. Tutte queste alt-coin sono nate grazie al Bitcoin che offriva vari “gusti”, metodi efficaci per ottenere approvazione e per incentivare la partecipazione all’ecosistema.

“Sebbene le criptovalute siano ancora all’inizio, è importante per innovatori e governi, compresi gli enti regolatori, collaborare ed adottare lo schema giusto per supportare la crescita e la sicurezza del movimento delle criptovalute”.

Il costo del mining continua a salire

Il problema della sicurezza non è l’unico rischio per i miner minori. Sebbene molti fan continuino a svolgere attività di mining da casa, il costo dell’attrezzatura e dell’utilizzo energetico è schizzato.

Secondo alcune notizie, le vendite e i prezzi delle unità di elaborazione grafica (GPU) sono andati alle stelle negli ultimi anni poiché i cripto-miner le hanno arraffate per creare delle server farm. Secondo Computerworld, che cita le ultime statistiche di Gartner sugli utili delle vendite di GPU che vengono usate come schede aggiuntive per PC, negli ultimi tre anni, gli utili dei produttori sono quasi raddoppiati passando da 2,7 miliardi di dollari a 4,7 miliardi. Per le GPU utilizzate nei centri di dati, i profitti dei produttori di chip sono schizzati alle stelle, passando da 168 milioni di dollari del 2015 a 1,1 miliardi di dollari.

Ma è forse più proibitivo l’aumento del costo per l’elettricità necessaria a far funzionare l’attrezzatura. Con l’aumento della complessità delle blockchain alla base delle singole valute digitali, serve sempre più potenza di elaborazione - e quindi più elettricità - per convalidare le transazioni. MarketWatch, facendo riferimento all’indice Bitcoin Energy Consumption, spiega che “l’utilizzo energetico globale di tutto il mining di Bitcoin è già equivalente all’assorbimento di energia dello stato della Danimarca, che ha una popolazione di 5,7 milioni, e alla fine raggiungerà quello del Bangladesh, un paese con 163 milioni di abitanti”.

Al fine di far restare redditizia l’attività, molti miner si stanno trasferendo in posti dove il costo dell’elettricità è più basso. L’economica energia idroelettrica di recente ha reso Svezia e Norvegia mete di interesse, insieme all’Islanda che già da tempo è al centro dell’attenzione dei cripto-miner.

Ma attraversare il globo alla ricerca di posti dove l’energia costa sempre di meno non è necessariamente allettante, né ha molto senso, soprattutto per i miner minori. Secondo uno studio di EliteFixtures, al momento, la Corea del Sud è il paese più costoso per il mining di un singolo Bitcoin, con costi che ammontano a 26.170 dollari a moneta, mentre il Venezuela, dove il costo per token è di soli 531 dollari, è il più economico.

Considerate le statistiche, la crescita dei mining pool ha un certo senso. E sebbene possano lasciare fuori alcuni miner minori, ci sono tanti altri fattori in gioco che rendono il cripto-mining ancora più redditizio per gli operatori più piccoli. Ma se l’economia del mining delle valute digitali smettesse di essere redditizia, o se le regolamentazioni governative dovessero bloccare il modo in cui avvengono attualmente le procedure di mining, sicuramente l’evoluzione del mining di criptovalute prenderà un’altra strada. E come succede con tante altre cose in questo mondo tutto nuovo, l’evoluzione della classe di asset continuerà a realizzarsi poco alla volta.

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