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Il rischio come benchmark per evitare casi di risparmio tradito

Pubblicato 04.03.2020, 16:45
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Introduzione

L’ammonimento attribuito a Benjamin Franklin “Non c’è niente di certo al mondo tranne la morte e le tasse” potrebbe essere ripensato, nel campo finanziario, nel seguente modo: “Il rischio è l’unica certezza di un investimento”. Perché il risparmiatore medio si focalizza esclusivamente sul rendimento, un eventuale obiettivo da raggiungere, sottovalutando il rischio sottostante? L’ignoranza non apre gli occhi: rischio, rendimento e tempo sono fortemente correlati e vanno considerati e analizzati contemporaneamente e l’unica arma a disposizione dell’investitore è la diversificazione.

Questi concetti, insegnati nelle scuole dell’obbligo, salverebbero molti futuri risparmiatori da scandali e crack finanziari e quindi dal perdere i soldi. Ad un dato rendimento corrisponde un rischio adeguato e proporzionato, spesso simmetrico, che non può prescindere dall’holding periodo dell’operatività. Esempio: un titolo di stato con massimo rating che rende a 1 anno l’1% ha un rischio a scadenza, in teoria, zero ma un rischio di prezzo alto durante l’anno; l’investitore, nello scenario più sfavorevole, potrebbe aspettarsi al massimo una perdita simmetrica dell’1% e ricevere minimo 99 a scadenza su cento investiti (perdita uguale per quantità ma di segno opposto rispetto al guadagno).

In una situazione di equilibrio e coerenza dell’investitore si può immagine il Mercato come una moneta le cui facce siano rischio e rendimento, lo spessore il tempo, la superficie la size dell’investimento. Ancora: il rischio ed il rendimento potrebbero essere i cateti di un triangolo rettangolo isoscele e l’ipotenusa rappresenterebbe l’holding period minimo per l’investimento in questione (a più rischio/rendimento corrisponderebbe maggiore tempo.

Rischio/Rendimento/Tempo geometrici

Processo di Investimento (figura sopra) . Chiunque debba fare una scelta di come impegnare i propri soldi deve seguire rigorosamente il seguente processo:

  • Soggettività generale. L’elemento più difficile da indagare è come individuare correttamente il proprio profilo rischio/rendimento/tempo basandosi su valutazioni personali e focalizzandosi sul rischio, anche se va analizzato contemporaneamente con il rendimento ed il tempo. Fondamentale è considerare il concetto di “Ciclo di vita” adattandolo alle proprie esigenze personali, ma è essenziale partire dalla fatidica domanda: “Quanto sono disposto a perdere massimo delle mie disponibilità per rimanere comunque tranquillo? A quanti soldi posso rinunciare, a causa di una perdita, per ogni singolo investimento o operazione?”. Ovviamente se sono disposto a perdere solo 1 per guadagnare 99 o sto sognando qualcosa che non esiste o, come una vittima della ludopatia, devo comprare un biglietto della lotteria con bassissima probabilità di vincita regalando i soldi allo stato, oppure sto ipotizzando di avere un timing infallibile (statisticamente quasi impossibile) come nel caso di un ingresso buy sui minimi dello S&P a marzo 2009 a 666 punti e tenendo la posizione aperta per parecchio tempo. Ci vuole comunque coerenza e, soprattutto per chi ignora la materia, un rapporto simmetrico (1 a 1) rischio/rendimento sarebbe l’ideale
    • Soggettività particolare. Una volta chiare le fondamenta del proprio profilo di investitore è bene capire: quale è l’obiettivo dello specifico investimento? Negoziare strumenti finanziari senza alcuna logica finale od obiettivo è un processo sbagliato, ma comune, dell’investitore che impegna le proprie disponibilità solo quando riesce a mettere da parte qualcosa ma senza un obiettivo, una pianificazione, un controllo di quello che fa in t0. Spesso si seguono le mode e le euforie del momento dietro i consigli dei media o di conoscenti non professionisti, inseguendo il mercato e magari rimanendo con il cerino in mano.
    • Le uova nel paniere. Una volta stabiliti il profilo e le necessità del singolo investimento con precisi obiettivi, è possibile andare sul mercato e verificare quali strumenti mettere in portafoglio tramite il risparmio gestito, quello amministrato, o il trading. I vari investimenti andranno poi inseriti in uno dei cassetti del mobile denominato “risparmio personale”
    • Pianificazione e Controllo. Ovviamente gli obiettivi dell’investimento sono mutevoli e continui nel tempo, quindi si avrà a che fare con un portafoglio dinamico di investimenti dove ci sarà un turnover di liquidità e strumenti finanziari nel tempo (diversificazione di obiettivi, temporale e di asset). Ovviamente monitorare le singole attività e l’intero portafoglio è fondamentale.

Come valutare un investimento (ex ante ed ex post).

I punti 1) e 2) esposti sopra sono forse i più importanti per la buona riuscita di un investimento, rappresentano i cardini su cui si fonda la gestione del risparmio del “buon padre di famiglia”, praticamente sono le fondamenta del processo.

I punti 3) e 4), approfonditi nel presente scritto, fanno chiarezza su come impostare il processo di selezione ex ante, come monitorare nel tempo il portafoglio e come giudicare ex-post l’operato. Generalmente, se non si tratta di strumenti di nuova emissione, per valutarne la performance nel tempo si considera il trend statistico dei risultati passati utilizzando indici come quello di Sharpe (premio rendimento finale/rischio medio), confrontandolo con quello di prodotti della stessa categoria.

Ovviamente non basta, andrebbe considerato anche il trend del Max DrawDown, ossia la perdita massima teorica dell’investimento di chi fosse entrato alle condizioni peggiori possibili (il caso “Fantozzi”). Da non dimenticare che i valori medi a volte ingannano: se un fondo i primi 5 anni ha un rendimento annuo di -10% e gli altri 5 anni +10% annuo risulterà un rendimento finale sui 10 anni dello zero per cento mentre, in termini nominali, il capitale da 100 è passato a 95 con un risultato del -5% circa (100, 90, 81, 72,9, 65,61, 59,05, 64,95, 71,44, 78,59, 86,45, 95,1); lo stesso accadrebbe invertendo la sequenza dei rendimenti. Quando si perde si deve fare uno sforzo maggiore (recovery rate), in termini di rendimento, per tornare al livello iniziale, con il rischio di “violentare” il profilo personale rischiando di più per recuperare in tempi più brevi con operatività non adeguata al proprio profilo iniziale.

I money manager ed i traders limitano il rischio con lo stop loss o con il risk management: perdere il 10% implica fare l’11,11% per tornare al capitale iniziale, con una perdita del 50% dovremmo fare un +100% per tornare all’inizio (il doppio dello “sforzo” della perdita), fondamentale è controllare il max Drawdown e limitarlo il più possibile con il money management. I Professionisti della finanza partono dall’unica cosa che possono bloccare e controllare quasi con certezza: il rischio di perdita massima. Perché l’uomo comune quando investe non deve utilizzare lo stesso approccio, semplificato, invece di guardare solo al rendimento che è eventuale e non certo?

Benchmark obsoleti

Gli investimenti devono avere, per essere valutati, sempre un parametro oggettivo di riferimento come il benchmark: un indice, un paniere, un tasso…un elemento che consenta di confrontare i risultati ottenuti rispetto al passato e valutare la performance rispetto ad altre possibili alternative sui mercati finanziari. Anche se il concetto di benchmark è oggettivo, la selezione o la creazione di questo parametro deve tener conto della soggettività: i gestori devono battere l’indice per ottenere fee da performance oltre che da masse, esclusi i costi fissi ed il fisco ovviamente. Alcune considerazioni operative.

  • Negli indici equity/commodities il calcolo del paniere può essere fatto in diversi modi: pesi uguali per ogni asset in portafoglio, size basate sulla capitalizzazione, quote basate sul valore del prezzo, reinvestimento dei dividendi, effetto cambio, leva e contango…
  • Per vendere i prodotti del risparmio gestito le banche evidenziano la redditività passata o fanno eventualmente leva commerciale sui costi bassi, quasi mai si soffermano sui rischi potenziali, anche se con Mifid2 qualche passo vanti si è fatto
  • I prodotti absolute return e total return hanno obiettivi di investimento liberi dal benchmark che dipendono solo dalla bravura e dalla operatività del gestore: ma quali rischi celano? Quali tutele sul drawdown? Non basta più rispondere “il mercato farà selezione” se siamo in presenza di oligopoli o di cartelli/standardizzazioni di product manager e distributori

Dal 2000 si verificano continuamente scandali finanziari (Argentina, Cirio, Parmalat, Banche, Enron, Lehmna Brothers…) che bruciano, a volte, i risparmi di una vita. La fiducia, insieme ad una eccessiva dose di ignoranza e avidità che sono nemiche della diversificazione, consentono il diffondersi di questi fenomeni. Leggi, modulistica, formulari…senza semplicità, chiarezza e trasparenza servono a poco e non ad eliminare o attenuare il fenomeno di misselling.

Non potendo imporre all’investitore un obbligo rigido di diversificazione dei rischi per legge, anche se comunque già esistono limiti di concentrazione dei portafogli, cosa si potrebbe fare? I prodotti del risparmio gestito e i portafogli dei clienti seguiti dai consulenti devono essere basati su un “Risk Benchmark”su tutti i portafogli/gestioni: un controllo del rischio totale da parte del gestore (lato prodotto) e del consulente (lato asset allocation). Il rischio diventa benchmark unico e certo come i costi, il rendimento rimane aleatorio e obiettivo (basso, medio e alto in base al rispetto dell’obiettivo temporale o meno), così da evitare fraintendimenti nella formazione dell’asset allocation.

Come si fa?

“Risk Benchmark”.

Si costituiscono fondi aperti/ gestioni senza scadenza per l’investitore ma con obbligo minimo di permanenza e aperture delle sottoscrizioni su finestre temporali prestabilite dove, una volta preso lo stop loss, il fondo/gestione si scioglie in automatico. Si formerebbe un mercato del risparmio gestito più dinamico e l’investitore sarebbe chiamato a reinvestire se chiudesse una linea per stop loss (diversificazione temporale obbligata dalla selezione naturale). Al sottoscrittore si presentano tre parametri per scegliere:

  • Il rischio massimo di perdita dei vari asset in gestione
  • Il tempo minimo di permanenza. Sarebbe preferibile tenere il capitale segregato fino a scadenza oppure, in alternativa, ci si espone al rischio di perdita in caso di uscita anticipata (penale di uscita)
  • Selezione del rischio temporale per la gestione. Nel caso di linea a rischio “basso” lo stop loss non potrà verificarsi se non prima dello scadere della permanenza obbligatoria dell’investitore nel fondo, nella linea a rischio “medio” non prima della metà dell’holding period obbligatorio, con “alto” l’evento stop loss potrebbe verificarsi in qualsiasi momento di vita della gestione che terminerebbe l’operatività nel momento del verificarsi (selezione naturale dei gestori bravi)

Ecco la tabella che si troverà il cliente e dove dovrà selezionare lo strumento da inserire in portafoglio in base al proprio profilo di rischio/rendimento/tempo (profilo soggettivo) e al rischio ed all’holding period insiti nello strumento/gestione proposti in tabella (profilo oggettivo). Non ci sono i rendimenti obiettivo ma, la specifica “Basso”, “Medio”, “Massimo”, implica un target di guadagno più ambizioso, ma generico. Sarà poi il trend storico dei risultati a fornire un’analisi ex post e sul mercato rimarranno i migliori secondo la legge della selezione naturale. Ovviamente il risparmiatore potrà fare un portafoglio diversificando gli asset su orizzonti temporali e tipologie di rischio/rendimento diversi in base agli obiettivi.

La diversificazione prima di tutto. Con il metodo “Risk Benchmark” il risparmiatore non potrà avere sorprese su perdite ingenti del portafoglio di investimento, avendo bloccato il rischio massimo ex ante con uno stop loss implicito nella gestione. Ovviamente valuterà il rispettivo rendimento e contribuirà ad una gestione attiva selettiva con i migliori prodotti/gestori che rimarranno sul mercato, il tutto Mifid2 compliance.

  • Esempio operativo chiarificatore. Un investitore, una volta profilato, deve inserire nel proprio portafoglio risparmi un investimento per integrare la propria pensione tra 30 anni. Come procedere per l’asset allocation? Su 100 di disponibilità decide di impegnare tutto subito e successivamente potrà integrare di volta in volta l’investimento in base alle disponibilità nel tempo (versamento una tantum o PAC). Asset Allocation iniziale di strumenti finanziari/risparmio gestito: 60% in rischio “max 1%” profilo basso (perdita massima a scadenza) + 30% in “rischio 10%” profilo medio (perdita massima da metà periodo fino a scadenza) + 10% in “rischio 100%” profilo alto (massima perdita in qualsiasi momento. Chiusura gestione implicherebbe switch verso altra gestione/prodotto/strumento finanziario) . Cosa vuole dire? Che , su 100 euro, a scadenza tra 30 anni, si rischia di avere minimo 59 + 27 + 0 = 86 euro (è bloccata la perdita max di 14), non si potrà rischiare di avere di meno, come successo in passato, detenendo magari investimenti unici molto rischiosi ma che venivano collocati come “sicuri” (vedi la sottoscrizione di obbligazioni bancarie per accedere al muto). Ci si focalizza non più sul prodotto, ma sul rischio e sul profilo soggettivo, seguendo i principi Mifid2 dove l’interesse del cliente è al centro ed è personalizzato. Il benchmark risk favorirebbe lo sviluppo dell’attività del consulente finanziario che agirà sul profilo del cliente, sugli obiettivi dello specifico investimento, andando alla fine del processo a cercare i prodotti/strumenti finanziari da inserire nel portafoglio con soli vincoli di rischio e temporali. Ovviamente un delle criticità potrebbe essere come rivedere completamente il compenso e le fee per gestori e consulenti

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