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Il tweet di Trump e la risposta rivelano che il greggio non si sta stabilizzando

Pubblicato 28.02.2019, 15:19
Aggiornato 09.07.2023, 12:31

La versione originale di questo articolo, in inglese, è stata pubblicata il giorno 28.02.2019

Quando il Presidente Trump lunedì ha twittato che i prezzi del greggio stavano salendo troppo, i prezzi sono crollati di oltre il 3% entro mezzogiorno.

Ma non è si è trattato che di una piccola battuta d’arresto in quello che è stato un inizio d’anno molto forte per i prezzi del greggio nel 2019. Infatti, secondo il Wall Street Journal, il greggio sta registrando “l’inizio d’anno migliore mai visto”. L’Arabia Saudita ha risposto ai tweet del Presidente Trump, affermando che se la stanno effettivamente “prendendo comoda” e il Ministro del Petrolio saudita, Khalid Al Falih, ha spiegato che i 25 paesi che partecipano ai tagli alla produzione OPEC e non-OPEC “stanno adottando un approccio molto lento e misurato”.

WTI price, 5-hourly

In realtà, la produzione OPEC è scesa di poco, ma non perché i produttori stanno adottando un “approccio misurato”. Quello che sta succedendo è che alcuni produttori stanno riducendo molto più del previsto, mentre altri stanno sovraproducendo significativamente. Nel complesso, si ha la sensazione di un approccio “lento e misurato”. Ma se si guardano i singoli paesi la produzione appare squilibrata.

A gennaio, l’OPEC ha collettivamente tagliato la produzione di 797.000 barili al giorno. Ed è in realtà meno dell’obiettivo di 812.000 barili al giorno. La maggior parte dei tagli è stata effettuata da un unico produttore, l’Arabia Saudita, che ha ridotto la sua produzione di 350.000 barili al giorno. La maggior parte dei produttori OPEC hanno superato lievemente le proprie quote, con l’Iraq che ha prodotto 157.000 barili al giorno in più e la Nigeria che ha superato il livello di 107.000 barili al giorno. La produzione è scesa anche in Venezuela, Iran e Libia, ma questi membri sono stati esentati dalle quote.

Non equilibrata nemmeno la produzione dei paesi non-OPEC che partecipano all’accordo. I tagli della Russia, il principale e più importante paese non-OPEC che partecipa al piano, non sono neanche lontanamente vicini alla quota promessa. La produzione russa è salita a gennaio, sebbene il Ministro del Petrolio Alexander Novak abbia affermato che il paese ha tagliato la produzione di 47.000 barili al giorno a febbraio. È comunque inferiore a quanto concordato nel dicembre 2018.

Nel frattempo, il Kazakistan, uno degli altri principali produttori non-OPEC partecipanti all’accordo, sta sostanzialmente ignorando l’impegno di ridurre la produzione. Il paese ha confermato che la sua produzione ha registrato i massimi storici nel 2018. Il suo principale giacimento, quello di Kashagan, ha prodotto 380.000 barili al giorno nel gennaio 2019 e la nazione intende mantenere questo livello almeno per la prima metà di quest’anno.

L’Arabia Saudita ha reso noto che intende tagliare ancora la produzione a marzo a 9,8 milioni di barili al giorno. Ha intenzione anche di ridurre nuovamente le esportazioni verso gli Stati Uniti. Questa notizia ha fatto schizzare i prezzi all’inizio di febbraio ed ha spinto le banche, come Merrill Lynch, a prevedere che il Brent raggiunga una media di 70 dollari al barile nel 2019.

Brent Crude, 5-hourly

L’accordo sui tagli alla produzione OPEC e non-OPEC è stato progettato in modo che ogni produttore tagliasse una percentuale relativamente piccola che, nel complesso, portasse ad una riduzione significativa sul mercato. Al momento, invece, ci sono solo poche nazioni che producono al di sopra o al di sotto delle percentuali previste. Se 100.000 barili al giorno venissero immessi o rimossi improvvisamente da parte di un paese, i prezzi del greggio potrebbero crollare o schizzare.

Ad esempio, se l’Arabia Saudita aumentasse la produzione (considerata la sua nuova capacità di scorte aumentata), il mercato scenderebbe. Se avvenisse una catastrofe in una nazione (per esempio se i Niger Delta Avengers dovessero sabotare un oleodotto) ci sarebbero meno paesi partecipanti che potrebbero compensare la perdita, perché stanno già sovraproducendo. La situazione attuale lascia essenzialmente l’Arabia Saudita quasi sola nella posizione di aumentare la produzione. L’accordo OPEC/non-OPEC è sbilanciato.

Il tweet del Presidente Trump è stato probabilmente solo una reazione all’aumento dei prezzi della benzina negli Stati Uniti. I prezzi USA sono saliti soprattutto per via delle nuove sanzioni imposte dal paese sul greggio venezuelano e dell’abituale periodo di manutenzione delle raffinerie. (I prezzi della benzina di solito aumentano quando le raffinerie interrompono le attività per la manutenzione o per cominciare a produrre la miscela estiva, un tipo di benzina più costoso). Tuttavia, il tweet del Presidente e la risposta di Al Falih dimostrano che l’attuale patto OPEC/non-OPEC non sta stabilizzando il mercato.

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