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Inflazione ed Obbligazioni, un lunga storia

Pubblicato 19.06.2017, 10:53
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Inflazione, trend che viene da lontano

Nella narrazione di questi ultimi 50 anni di inflazione globale è doveroso iniziare affermando che questo tema non è esclusiva di alcuno Stato, tanto meno area geografica.

La decelerazione dei prezzi è un fenomeno che sta interessando l'intero mondo dall'inizio degli anni '80, toccando trasversalmente economie fondate su sistemi diversi.

L'inflazione si è infatti ridotta in paesi come la Russia, il Giappone, l'Italia e gli Stati Uniti; fugando il dubbio, spesso instillato da una certa politica nostrana, che il fenomeno sia imputabile a cause di politica monetaria o economica locale.

La crisi del petrolio
Nell'economia globale del secondo dopoguerra, l'inflazione si manteneva stabile tra il 2% ed il 5% nella maggior parte delle aree sviluppate. Senza destare particolari preoccupazioni.
Fu nel 1973 che la situazione cambiò drasticamente. Proprio in quell'anno l'OAPEC -antenato dell'attuale OPEC- proclamò l'embargo in risposta al supporto degli Stati Uniti ad Israele nella guerra del Kippur che vedeva interessati i principali produttori di petrolio. Questo ebbe l'effetto di alzare il prezzo della materia prima dai 3 dollari al barile di inizio anno fino ai 12 dollari del Marzo del 1974, generando la prima grande crisi energetica.

Nel 1979 con la rivoluzione islamica iraniana e la conseguente guerra tra Iraq e Iran si ebbe la seconda grande crisi che portò in 12 mesi l'incredibile prezzo di 39,50 dollari al barile.
Il decennio di instabilità in medio oriente ebbe un effetto devastante sull'inflazione globale. In Italia, Spagna e Giappone si ebbero picchi del 25% -anno su anno-, in Germania dell'8%, negli Stati Uniti del 14%.

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E' proprio a partire dalla grande crisi del '79 che i prezzi cominciano la loro decelerazione fino ad arrivare ai giorni nostri.

Il petrolio conobbe però un altro rally tra il 2002 ed il 2008 passando dai 20 dollari al barile ai 140 di inizio crisi sub-prime. La causa questa volta veniva dalla abbondanza di domanda e non dalla scarsità di offerta. Furono gli anni dello sviluppo indiano e cinese che richiedevano un enorme dispendio di materie prime, associato ad un periodo particolarmente florido per gli Stati Uniti -principali consumatori di petrolio al mondo-.

L'inflazione infatti non rispose agli stimoli del rialzo delle materie prime. Questo periodo non viene definito come “Crisi” ma “Boom”.

Bonds e Stocks
In condizioni di normalità, le obbligazioni hanno sempre svolto il loro lavoro di mantenitori di potere d'acquisto, proteggendo i risparmiatori dall'inflazione.
Esistono periodi storici in cui i rendimenti subiscono delle distorsioni, essi possono essere positivi o negativi per il risparmiatore, come per l'istituzione emittente.
Ben ricorderete cosa successe ai BTP alla fine del 2011, periodo in cui lo stato italiano pagava una cedola tre volte superiore al proprio tasso inflattivo, condizione molto favorevole al sottoscrittore ma decisamente sfavorevole all'emittente.

Negli ultimi anni stiamo invece assistendo al fenomeno opposto, a causa delle politiche monetarie che tendono a schiacciare le cedole sotto il livello dell'inflazione, le obbligazioni oggi sono sfavorevoli ai sottoscrittori e molto favorevoli all'emittente.
L'effetto della riduzione graduale dei rendimenti ha avuto come conseguenza naturale quello della crescita dei titoli azionari, considerati ormai l'unico strumento capace di restituire una redditività in portafoglio. Ben visibile osservando la composizione dei portafogli istituzionali tra il 1987 ed il 1997 e tra il 2009 ed il 2016. In questi due periodi la quantità di obbligazioni è andata riducendosi, aumentando quella in titoli azionari.

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La carenza di rendimenti ha creato una distorsione cognitiva tra tutti i partecipanti a mercato, rendendo strumenti ad alto profilo di rischio percepiti come a basso. Un esempio fra tutti: il titolo Apple, ormai considerato un bene rifugio. In figura 1 la variazione della composizione dei portafogli secondo American Association of Individual Investors.

Le politiche monetarie
Le politiche monetarie che le principali banche centrali stanno adottando in questi anni sono di stampo espansivo -soprattutto in Bank of Japan ed European Central Bank-, in altre parole favoriscono la contrazione degli interessi sul nuovo debito sovrano emesso, grazie alla creazione digitale di nuova moneta che servirà all'acquisto del debito stesso.

L'effetto che le obbligazioni devono assorbire è duplice: da una parte la decelerazione dell'inflazione, dall'altra l'abbondanza artificiale di domanda.
Le prossime decisioni in politica monetaria risultano quindi determinati per stabilire il futuro non solo del mercato obbligazionario ma anche, come abbiamo visto, del mercato azionario.
Possiamo quindi affermare che l'inflazione è il giogo del mercato obbligazionario e delle politiche monetarie. L'accelerazione dei prezzi causa un incremento dei rendimenti ed una politica più restrittiva che a sua volta spinge ulteriormente i rendimenti al rialzo col conseguente deflusso di capitali dal mercato azionario. La decelerazione dei prezzi causa un decremento dei rendimenti ed una politica più espansiva che a sua volta spinge ulteriormente i rendimenti al ribasso col conseguente afflusso di capitali al mercato azionario.

Un occhio al futuro
In questi ultimi 2 anni stiamo assistendo ad un ritorno del tema inflattivo.
L'Eurozona ha raggiunto il target del 2% annuale sui prezzi al consumo, con picchi del 4% sui prezzi alla produzione. Molti economisti, soprattutto tedeschi, si chiedono se sia il caso di cominciare a ragionare su una riduzione degli stimoli monetari.
Negli Stati Uniti è già iniziata la fase di normalizzazione, con la riduzione degli acquisti -tenendo stabile la propria balance sheet- ed il rialzo dei tassi di interesse. Lo spread tra i titoli di stato europei e americani è infatti sui massimi assoluti, superando i precedenti massimi del giugno 1999.

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Il rialzo dei rendimenti USA non è stato però sufficiente per effettuare lo switch tra azioni ed obbligazioni descritto nel paragrafo precedente. E' stimata intorno al 2,6% la soglia del tasso di interesse decennale sopra la quale i gestori effettuerebbero un drenaggio di capitali da un asset all'altro, soglia che il mercato ha raggiungo solo per un breve periodo senza spingersi oltre.

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