Come abbiamo visto la scorsa settimana, l’inflazione della zona euro YoY di settembre ha fatto registrare un +10% (+9,7% atteso)
In crescita oltre le stime anche l’inflazione core, che raggiunge il 4,8% contro il 4,3% di agosto. L’impennata è stata guidata dalla Germania, a conferma che la più grande economia dell’eurozona è entrata a settembre nel territorio dell’inflazione a due cifre. In Italia l’inflazione è salita al 9,5% dal 9,1% di agosto, mentre in Francia e Spagna la crescita dei prezzi ha mostrato una flessione al 6,2%.
Con il 40,8%, l’energia ha continuato a trainare l’inflazione, seguita da alimentari, alcolici e tabacco i cui prezzi sono cresciuti in un anno dell’11,8%, segnalando che l’inflazione si è molto ben radicata nel sistema economico e che, quindi, diventa sempre più arduo riuscire a contenerla.
Riteniamo tuttavia che, a differenza deli USA, il picco dell'inflazione in Europa non sia ancora stato raggiunto. Dal 2020 infatti l'economia non sta affrontando un solo grande shock inflazionistico, ma diverse ondate inflazionistiche che hanno diversi padri: lockdown, problemi delle catene di approvvigionamento, sostegni fiscale, tensioni sul mercato del lavoro e aumento dei salari, guerra in Ucraina. Questo significa che il rischio inflattivo in prospettiva è maggiore rispetto a un tradizionale picco guidato dal petrolio e/o dal gas.
Alcuni effetti di base e l'allentamento delle pressioni sulla catena di approvvigionamento dovrebbero far scendere l'inflazione verso la fine dell'anno negli USA. In Europa tuttavia il fatto che le rivendicazioni salariali comincino ad aumentare a un ritmo rapido e che le aziende trasferiscano i costi sui consumatori, crea rischi per un quadro inflattivo più duraturo. Come abbiamo più volte messo in luce, in un’inflazione trainata da costi più che da domanda, il rialzo dei tassi di interesse consente una sua flessione solo in presenza di una recessione (l’inflazione diventa causa ed effetto della sua stessa riduzione). Il controllo della recessione è tuttavia molto più difficile di quello della crescita economica, perché innesca aspettative comportamentali soggettive e per loro natura poco controllabili.
Un rallentamento significativo dell'inflazione nell'Eurozona sembra possibile solo nel medio termine. Non abbiamo tuttavia certezza sulla velocità di questo rallentamento e quindi sui tempi del raggiungimento del 2% di obiettivo fissato dalla banca centrale.
Nell'Eurozona molte misure di sostengo introdotte dai governi, come i tagli dell'IVA o i massimali sui prezzi dell'energia, suggeriscono che l'inflazione venga mantenuta artificialmente bassa. Ciò significa che ad un certo punto potrebbe esserci una sorte di “effetto recupero” e l'inflazione potrebbe alla fine rivelarsi molto più duratura di quanto inizialmente previsto. La strategia è probabilmente mantenere le misure di sostegno fintanto che i prezzi non saranno tornati “normali”, in modo da evitare l’effetto recupero.
Le banche centrali sostengono di voler combattere le prospettive di radicamento dell'inflazione, e quindi i mercati continuano a valutare l'inflazione come un rischio "temporaneo" (anche se un po’ meno rispetto allo scorso anno).
Siamo convinti che le Banche Centrali riusciranno a smorzare la crescita dei prezzi attraverso l'inasprimento della loro politica monetaria, ma il raggiungimento dell'obiettivo del 2% richiederà più tempo rispetto ai cicli precedenti. I tassi annui di inflazione prezzati sul mercato prevedono che l'attuale shock inflazionistico svanisca quasi del tutto nel 2024.
Questa potrebbe essere un'opportunità per gli investitori, poiché i breakeven dell'inflazione non prezzano un premio di rischio significativo nel caso in cui quest’ultima acceleri ulteriormente o si dimostri più duratura.