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Intel: il peggio che deve ancora venire

Pubblicato 05.06.2023, 20:30
Aggiornato 29.02.2024, 17:10


Anche se negli ultimi anni Intel (NASDAQ:INTC) ha inanellato una serie di fallimenti, le origini dell’underperformance della società sono da addebitarsi all’arrivo di Bob Swan, prima CFO e poi CEO della società. Swan, con un background più finanziario che tecnico, a partire dal 2019 ha cominciato a ridurre gli investimenti in Ricerca & Sviluppo nella società, in un settore dove gli investimenti di questo tipo sono la linfa vitale per rimanere leader di mercato. Tali investimenti infatti sono passati da una media del 21-22% del fatturato fino al 17% nel 2020. Questo ha fatto sì che Intel perdesse la leadership tecnologica nei confronti di AMD.
Di lì il cambio di guardia, con la cacciata di Swan dopo appena due anni come CEO e l’arrivo di Pat Gelsinger (ex Chief Technology Officer della società), una persona con un background molto più tecnico e forse necessario per il tipo di società e di settore ad altissimo contenuto tecnologico. Il problema è che recuperare la leadership in un settore in cui gli investimenti di oggi danno frutti a 2-4 anni di distanza non è cosa immediata.
Sicuramente i primi segni dell’impegno di Intel ci sono: le spese in R&S solo volate al 28% nel 2022 e supereranno il 30% quest’anno. A questo si aggiunge l’enorme mole di investimenti attesa per la realizzazione delle “foundry”, gli stabilimenti in cui vengono stampati effettivamente i chip.
Negli ultimi 10 anni, il modello di business “fabless” (senza fabbrica), ha portato le società americane a disegnare i chip e produrli in Paesi a basso costo (principalmente a Taiwan). Adesso, con la minaccia di un’invasione cinese di Taiwan, gli USA hanno promosso il Chips Act, una serie di contributi governativi alle società che decideranno di produrre negli States i microchip. E Intel dovrebbe essere la principale beneficiaria, con almeno $20mld dei $52 stanziati dal Governo USA. Peccato che la società abbia all’orizzonte investimenti nei prossimi 5 anni almeno pari a $100mld, che la condanneranno a registrare Free Cash Flow sistematicamente negativi. Non l’ideale in un periodo di tassi elevati, in cui gli azionisti vogliono vedere i flussi nell’immediato.
Infine, ad appesantire il titolo è il current trading: i risultati del 1Q23 sono stati fortemente negativi, con ricavi a -36% e Gross margin in calo dal 53% al 34% nel giro di un anno (a testimonianza che Intel è ora costretta a vendere a sconto i suoi prodotti, mentre i concorrenti AMD e Nvidia mantengono margini stabili o addirittura riescono ad aumentarli).

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N.B. Scrivo approfondimenti come questo anche su MyFinanceClub, portale di ricerche e analisi per investitori retail. È ora disponibile una prova gratuita di 7 giorni.

Anche se negli ultimi anni Intel ha inanellato una serie di fallimenti, le origini dell’underperformance della società sono da addebitarsi all’arrivo di Bob Swan, prima CFO e poi CEO della società. Swan, con un background più finanziario che tecnico, a partire dal 2019 ha cominciato a ridurre gli investimenti in Ricerca & Sviluppo nella società, in un settore dove gli investimenti di questo tipo sono la linfa vitale per rimanere leader di mercato. Tali investimenti infatti sono passati da una media del 21-22% del fatturato fino al 17% nel 2020. Questo ha fatto sì che Intel perdesse la leadership tecnologica nei confronti di AMD.
Di lì il cambio di guardia, con la cacciata di Swan dopo appena due anni come CEO e l’arrivo di Pat Gelsinger (ex Chief Technology Officer della società), una persona con un background molto più tecnico e forse necessario per il tipo di società e di settore ad altissimo contenuto tecnologico. Il problema è che recuperare la leadership in un settore in cui gli investimenti di oggi danno frutti a 2-4 anni di distanza non è cosa immediata.
Sicuramente i primi segni dell’impegno di Intel ci sono: le spese in R&S solo volate al 28% nel 2022 e supereranno il 30% quest’anno. A questo si aggiunge l’enorme mole di investimenti attesa per la realizzazione delle “foundry”, gli stabilimenti in cui vengono stampati effettivamente i chip.
Negli ultimi 10 anni, il modello di business “fabless” (senza fabbrica), ha portato le società americane a disegnare i chip e produrli in Paesi a basso costo (principalmente a Taiwan). Adesso, con la minaccia di un’invasione cinese di Taiwan, gli USA hanno promosso il Chips Act, una serie di contributi governativi alle società che decideranno di produrre negli States i microchip. E Intel dovrebbe essere la principale beneficiaria, con almeno $20mld dei $52 stanziati dal Governo USA. Peccato che la società abbia all’orizzonte investimenti nei prossimi 5 anni almeno pari a $100mld, che la condanneranno a registrare Free Cash Flow sistematicamente negativi. Non l’ideale in un periodo di tassi elevati, in cui gli azionisti vogliono vedere i flussi nell’immediato.
Infine, ad appesantire il titolo è il current trading: i risultati del 1Q23 sono stati fortemente negativi, con ricavi a -36% e Gross margin in calo dal 53% al 34% nel giro di un anno (a testimonianza che Intel è ora costretta a vendere a sconto i suoi prodotti, mentre i concorrenti AMD e Nvidia mantengono margini stabili o addirittura riescono ad aumentarli).

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L’impatto più pesante è senza dubbio legato al calo di vendite del mercato dei PC, che si è riflesso in minor vendite di CPU del segmento CCG, così come preoccupante è la riduzione di fatturato sul business DCAI, in cui la società rischia di uscire con le ossa rotte dal confronto con Nvidia nell’Intelligenza Artificiale (Nvidia ha evidenziato che con i suoi nuovi GPU, può aggredire l’intero mercato dei datacenter, un tempo driver di crescita di Intel). A questo proposito, il management di Intel non si è peraltro mostrato particolarmente ottimista, sottolineando che i venti contrari sulla domanda di prodotti della società andranno avanti almeno fino a metà di quest’anno, se non oltre.
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Le buone notizie ci sono, ma sono spostate in là nel tempo. L’arrivo dei nuovi Intel Sierra Forest e Clearwater Forest dovrebbe riportare la società davanti ad AMD in termini tecnologici sulle CPU. Peccato che la commercializzazione di questi chip partirà rispettivamente solo da metà 2024 e dal 2025, cosa che dunque limiterà nell’immediato la spinta di aumento del fatturato della società nel suo segmento più importante (CCG).
Alla luce di tutti questi grandi punti di debolezza, di un FCF yield negativo e delle prospettive di decrescita futura di fatturato e margini, non è possibile collocare il valore di Intel ad un EV/Ebitda NTM superiore alle 7-8x (contro le attuali 12x), cosa che sfortunatamente lascia ancora un buon margine di calo al suo corso azionario.

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