La versione originale di questo articolo, in inglese, è stata pubblicata il giorno 30.07.2020
Oggi, 30 luglio, sono passati esattamente sei anni da quando il greggio di riferimento USA, il WTI, ha superato per l’ultima volta i 100 dollari al barile. Sei anni prima, 12 anni fa, il WTI aveva raggiunto l’apice il 3 luglio 2008, con il prezzo spot sopra i 145 dollari al barile.
Al momento, il prezzo del WTI è appena sopra i 40 dollari. Quali fattori stanno tenendo i prezzi tanto bassi?
Grafico mensile future greggio WTI
Quando i prezzi del greggio sono bassi, si parla spesso di un esubero della materia prima, ossia si produce più di quanto si consuma. In altre parole, le scorte sono superiori alla domanda, quindi il prezzo scende. Il greggio viene immagazzinato ed i produttori devono chiedere di meno per il loro prodotto. Ma in realtà non è così semplice.
Anche alcuni consumatori stanno facendo scorta
La curva scorte-domanda non è direttamente collegata al prezzo del greggio, perché a volte i dati sulla domanda sono superiori alla reale quantità di greggio che viene usata. Questi dati possono essere elevati perché comprendono il greggio che viene acquistato per essere conservato.
Ad esempio, la Cina è il più prolifico importatore al mondo di greggio al momento. Sebbene la sua economia di fatto utilizzi parecchio greggio, spesso il paese ne conserva grandi quantità sia tramite il governo comunista che tramite le aziende (che alla fine devono obbedire al governo). Dal momento che una quantità significativa del greggio che la Cina importa in un dato mese va a finire nelle scorte, il paese non accetta di pagarlo ad una cifra tanto alta come se ne avesse assoluto bisogno. Allo stesso modo, se la Cina riesce ad ottenere un prezzo più basso, molto probabilmente deciderà di comprarne di più da mettere in magazzino.
Picco del greggio e picco della domanda
Parte del motivo per cui il prezzo era schizzato così tanto nel 2008 era una teoria sul picco del greggio diventata popolare all’epoca. Questa teoria, diffusa da Matthew Simmons nel suo libro del 2006 Twilight in the Desert, affermava che c’era molto meno greggio disponibile sottoterra di quanto si pensasse. In particolare, Simmons sosteneva che le riserve petrolifere dell’Arabia Saudita fossero minori di quanto dichiarato. Quando una materia prima vitale scarseggia, diventa costosa, perciò il prezzo del greggio finì per salire. Alla fine, venne fuori che Simmons si sbagliava.
Oggi, l’idea del picco del greggio non è più popolare, ma lo è quella del picco della domanda. Le previsioni a lungo termine prevalenti sul mercato del greggio indicano che ci sarà molta meno domanda della materia prima nei prossimi decenni, in base alle stime sugli sviluppi futuri del settore.
Qualcuno crede che i veicoli elettrici saranno la forma dominante di automobili e camion entro il 2040 o il 2050, che le energie rinnovabili e gli impianti nucleari renderanno datata la produzione di energia da greggio e gas e che plastiche e fertilizzanti saranno prodotti con meno greggio, grazie al riciclaggio ed alle nuove innovazioni. Anche se non sappiamo se queste teorie si realizzeranno, di fatto tendono a trascinare giù i prezzi del greggio.
I timori di una recessione pesano sui prezzi
All’inizio dell’estate del 2008, quando il WTI era al picco, la recessione era dietro l’angolo, ma in pochi lo immaginavano.
Il prezzo del greggio era alto soprattutto per la promessa del futuro. Solo due mesi dopo, l’economia globale cominciò a collassare. Ma, il 3 luglio, quando il greggio era al massimo, nessuno sapeva cosa stava per succedere. Il settore petrolifero, i grandi consumatori di greggio (come le raffinerie) ed i trader ne erano del tutto all’oscuro.
Nel 2018 e nel 2019, le previsioni economiche erano zeppe di stime su un’imminente recessione e questi avvertimenti si basavano generalmente sulla paura di una guerra commerciale globale o di curve del rendimento invertite. In realtà, è stata una pandemia globale e la reazione alla crisi sanitaria ad avere infine causato un downturn economico proprio quando nessuno se lo aspettava.
L’OPEC non è più lo stabilizzatore dei mercati come lo era un tempo
Nel luglio del 2014, il prezzo del WTI era ancora sopra i 100 dollari, perché nessuno credeva davvero che ci sarebbe stato un esubero di produzione. Anche se l’allora ministro del petrolio saudita Ali al-Naimi aveva affermato solo qualche settimana prima di essere desideroso di vedere una sovrapproduzione di greggio da parte dell’OPEC, c’era ancora l’idea che il prezzo della materia prima non potesse crollare.
Meno di sei mesi dopo, il WTI perse oltre metà del suo valore. Dal 2016, l’OPEC ed il suo gruppo ausiliario, l’OPEC+, hanno tentato di far salire i prezzi varie volte ma i loro sforzi si sono dimostrati davvero poco efficaci. Già prima della diffusione del coronavirus, i prezzi a tripla cifra sembravano lontani anni luce, nonostante gli sforzi dell’OPEC+.
I veri dati sulla produzione sono complicati
Il maggior cambiamento della produzione di greggio negli ultimi anni è stato il boom della produzione di scisto USA. Al momento, gli USA producono circa 11 milioni di barili al giorno, dato che si attestava a 13,1 milioni di barili prima che la pandemia di coronavirus colpisse l’economia. Confrontiamolo con gli 8,7 milioni di barili al giorno che gli USA producevano (in media) nel 2014 o con i 5 milioni (in media) del 2008.
Allo stesso tempo, la produzione del Venezuela è scesa drasticamente, soprattutto perché il paese non può permettersi di produrre il suo stesso greggio. La produzione della nazione è calata a 280.000 barili al giorno da una media di 2,3 milioni di barili al giorno del 2014 e di 2,34 milioni di barili al giorno del 2008.
L’Iran non sta producendo molto, perché è gravato da sanzioni. I suoi numeri attualmente sono 2 milioni di barili al giorno, contro i 2,76 milioni del 2014 ed i 3,88 milioni del 2008.
Nel complesso, il mondo produce più greggio oggi per via dei nuovi pozzi che sono stati attivati, insieme alle nuove tecnologie ed innovazioni. Una paura che non esiste al momento è quella di una carenza di greggio. Piuttosto, chi compra e vende greggio si preoccupa per una mancanza di domanda, e le cose stanno così dalla seconda metà del 2014. Ecco perché i prezzi non tornano a tripla cifra da ormai sei anni.
Ma la migliore lezione degli ultimi dodici anni è questa: non possiamo prevedere il futuro.