Gentili Lettori di Investing.com,
era Febbraio quando un'arrogante e altezzosa Theresa May, primo ministro britannico, si apprestava a dare il via ufficiale al divorzio della Gran Bretagna dall'Unione Europea, affermando "BREXIT is BREXIT" e che, pertanto, piuttosto che trovare un accordo di separazione non vantaggioso sarebbe stato meglio non accordarsi per nulla.
Gli scenari, tuttavia, da Marzo in poi sono cambiati in fretta, e mentre sul fronte europeo, l'elezione di Macron in Francia ha rafforzato la ripresa economica e rinsaldato l'Unione, in Gran Bretagna, dove l'attività economica non aveva ancora risentito dell'incertezza circa le evoluzioni del BREXIT (principalmente in merito all'adesione al Mercato Unico della UE), la scellerata decisione del premier di indire elezioni anticipate per rafforzare la propria posizione politica ha clamorosamente ottenuto un esito diametralmente opposto; Theresa May ha ridotto in modo cospicuo il numero di parlamentari, la sfera imprenditoriale domestica ha ridotto il proprio volume di attività, la crescita economica ha subito di riflesso un impatto negativo e soprattutto, il brusco indebolimento della sterlina ha causato un'impennata dell'inflazione (2,9% ad Agosto rispetto all'anno precedente ossia il valore massimo degli ultimi 5 anni) imponendo alla Banca Centrale d'Inghilterra, di anticipare al mercato un imminente rialzo dei tassi d'interesse.
Ottenere risultati peggiori di quelli conseguiti da Theresa May (nessun progresso nelle trattative con l'UE negli ultimi sei mesi, inflazione fuori controllo, forte incertezza politica ed economica) sarebbe stato difficile per chiunque; e infatti, l'agenzia di rating Moody's, proprio venerdì scorso, ha manifestato la propria sfiducia nei confronti delle proiezioni economiche del Governo, tagliandone il merito creditizio da Aa1 ad Aa2.
Theresa May, con le spalle al muro dopo una quantità considerevole di errori commessi, nel discorso di Firenze, improntato sulla visione del Brexit, pur fornendo pochi dettagli operativi, ha decisamente abbassato i toni proponendo di dilatare nel tempo l'uscita dall'UE tramite un'estensione di ulteriori due anni (il cosiddetto periodo di transizione in cui tutte le norme dell'UE rimarranno vincolanti ma la Gran Bretagna non avrà diritto di voto) all'uscita formale di Marzo 2019, di pagare un acconto di 20 miliardi di euro (dei circa 100 richiesti) e auspicando una "partnership speciale".
Un accordo commerciale tra Unione Europea e Gran Bretagna è per definizione vantaggioso per ambo le parti; da un lato il popolo britannico è notoriamente molto propenso ai consumi (l'opposto della Germania!) e pertanto estremamente appetibile per le esportazioni europee, dall'altro, la presunzione di stringere accordi commerciali bilaterali con le altre principali economie mondiali è risultata impraticabile: nessun Paese vuole impegnarsi con la Gran Bretagna inimicandosi 'Unione Europea!
Un punto d'accordo verrà trovato, e probabilmente la Gran Bretagna, pur di continuare ad avere accesso al Mercato Unico Europeo, soddisferà le richieste di Bruxelles restando di fatto un membro NON VOTANTE (e pertanto senza voce in capitolo) dell'Unione Europea; l'alternativa è un'inevitabile profonda recessione.