L’Economia Globale ha colpito un punto di non ritorno: Nulla sarà più come prima

Pubblicato 15.06.2025, 09:25

Viviamo nel bel mezzo del più grande cambiamento economico della nostra epoca.

Di gran lunga più grande della crisi del COVID, della bolla dotcom del 2000 e persino più impattante della Grande Recessione del 2008.

Tutto ruota attorno a una parola sola: commercio.

Per decenni ci è stato detto che il libero scambio è il futuro, che se tutti lavorano insieme, tutti prosperano.

E per oltre 80 anni è stato proprio così, il mondo si è intrecciato in una rete globale di scambi in cui ognuno poteva ottenere ciò di cui aveva bisogno.

Ma oggi quel sogno si sta sgretolando inevitabilmente.

A distruggerlo non è solo un’ideologia politica, ma entrambe: destra e sinistra, Biden e Trump, Democratici e Repubblicani. Tutti, in modi diversi, stanno smantellando il sistema che ha definito l’economia globale moderna.

Ma perché?

Perché la realtà si è dimostrata molto diversa dalle aspettative, e quel sistema “collaborativo” che avrebbe dovuto far crescere tutti, in realtà premia solo pochi.


La Fine di un Mondo: Da Pittsburgh a Pechino
Per noi nati in questo modello, ci sembra essere sempre stato tutto così, ma basta andare indietro di ottant’anni per scoprire che ogni Paese produceva gran parte dei propri beni, coltivava il proprio cibo e proteggeva la propria industria con dazi e barriere.

Il commercio globale esisteva, ma era lento, costoso e spesso percepito come minaccia. Ogni paese produceva per se stesso e manteneva la ricchezza per se stesso, come tante piccole celle auto-sufficienti (in gran parte almeno).

Poi arrivò la Seconda Guerra Mondiale, una crisi così devastante da rendere la cooperazione globale non solo auspicabile, ma necessaria.

Gli Stati Uniti presero il comando, guidando la costruzione di un nuovo ordine mondiale basato su pace, stabilità e prosperità condivisa.

Nacque il sistema di Bretton Woods, il dollaro diventò la valuta di riferimento globale e il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale vennero creati per mantenere la stabilità.

Con il tempo nacque poi anche il GATT, poi trasformato nell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

L’idea alla base era semplice: se i Paesi dipendono economicamente l’uno dall’altro, saranno meno propensi a farsi la guerra.

Il gioco era quindi creare dei rapporti di dipendenza che avrebbero reso impossibile i conflitti. Per un po’ ha funzionato, gli Stati Uniti aprirono i loro mercati e spinsero altri a fare lo stesso: Europa, Giappone, e poi la Cina.

I conflitti in realtà ci sono comunque stati, magari meno aspri e globali rispetto la seconda guerra mondiale, ma comunque ci sono stati.

Nel 2001 la Cina entrò ufficialmente nell’OMC, e fu un punto di svolta.
Centinaia di milioni di lavoratori cinesi uscirono dalla povertà, i beni divennero più economici per i consumatori occidentali e le aziende USA guadagnarono profitti record delocalizzando la produzione.

Insomma sembrava tutto ottimo, eppure qualcosa scricchiolava sotto la superficie.


I Primi Scricchiolii: La Rabbia Silenziosa dell’America Profonda
Era l’età dell’oro della globalizzazione.

Le catene di fornitura divennero globali, il commercio esplose, la crescita si estese in tutto il pianeta, ma negli Stati Uniti, qualcosa si spezzava.

Flint, Michigan, una volta cuore dell’industria automobilistica, persero il 40% della popolazione.

Automotive industry in Flint, Michigan - Wikipedia


Youngstown, Ohio, simbolo dell’acciaio americano, cadde con la delocalizzazione in Asia.

Youngstown Ohio 1950s Banner Postcard Steel City Mills Furnace | eBay


Burlington, North Carolina, vide la sua industria tessile svanire dopo il NAFTA.

Textile Heritage Museum – 2406 Glencoe Street, Burlington, NC, 27217


Rockford, Illinois, perse decine di migliaia di posti di lavoro.

E potrei continuare così a lungo.

Dal 1970 al 2000, milioni di impieghi svanirono, le diseguaglianze aumentarono e la frustrazione cresceva.

Un celebre studio del 2016 stimò che tra il 1999 e il 2011 ben 2,4 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti furono persi a causa della competizione con le importazioni dalla Cina.

Ci possiamo facilmente rendere conto dell’impatto della globalizzazione, anche nel nostro paese, confrontando l’epoca dei nostri genitori e nonni, con quella attuale.

Ma attenzione, con questo articolo non voglio dire che “era meglio quando si stava peggio”, assolutamente, viviamo in un’era piena di opportunità, nate proprio dalla globalizzazione.

Voglio solo limitarmi ad analizzare insieme a te ciò che è stato e ciò che è, per capire in che direzione stanno andando le cose e come trarne il massimo dei vantaggi.


Il Grande Cambiamento: Dalla Globalizzazione alla Nazionalizzazione
Tutto questo ci ha portato al presente.

Un presente in cui sia Trump che Biden, due leader apparentemente opposti, stanno in realtà portando avanti la stessa idea: riportare l’industria a casa.

Trump ha iniziato con dazi su centinaia di miliardi di dollari di merci cinesi, l’uscita dal TPP e lo slogan "America First".

Biden ha rilanciato con il Chips and Science Act, l’Inflation Reduction Act e il piano infrastrutturale, investendo centinaia di miliardi per riportare chip, batterie, energie pulite e auto elettriche sul suolo americano.

Come vedi non è questione di politica, né tantomeno di economia, ma di sicurezza.

Mi spiego meglio.

I chip avanzati? Principalmente prodotti a Taiwan.

Le terre rare per i motori elettrici? In gran parte raffinate in Cina.

Non è più accettabile per gli USA dipendere da potenze rivali per tecnologie strategiche.

Questo è il problema: se dipendi troppo da terzi, allora in quanto tempo sarai sostituito?


De-Globalizzazione: Quattro Forze che Stanno Riscrivendo le Regole
Abbiamo parlato di globalizzazione, ora parliamo invece della de-globalizzazione in atto e delle quattro forza che hanno spunto al cambio di paradigma:
  1. Sicurezza nazionale: La pandemia e la guerra in Ucraina hanno messo a nudo la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento. L’Occidente non può più permettersi di affidarsi ciecamente a Taiwan o alla Cina per chip o terre rare.
  2. Lavoro: La delocalizzazione ha arricchito pochi e impoverito molti. Gli elettori vogliono il lavoro indietro e questa volta, destra e sinistra sono d’accordo.
  3. Clima: Le industrie verdi stanno diventando un pilastro delle nuove economie, ma produrre pannelli solari o batterie in Paesi a forte inquinamento vanifica gli sforzi ambientali. Ecco perché serve produzione locale.
  4. Geopolitica: La fiducia tra le potenze si sta erodendo, il commercio, da strumento di efficienza, diventa leva strategica. Il confronto USA-Cina è ormai anche una guerra economica.

Questo è quello che sta realmente succedendo, stiamo uscendo da una fase ed entrando in una nuova. Ciò che è stato fino ad ora, sta semplicemente, cambiando.


Un Mondo Nuovo: Aziende che Cambiano Rotta
Anche le multinazionali si stanno già adeguando. Apple (NASDAQ:AAPL) sta per esempio spostando la produzione di iPhone in India e Vietnam. Tesla (NASDAQ:TSLA) diversifica la sua produzione su più continenti.
Le imprese non ottimizzano più solo per i costi, ma per la resilienza.

Cosa intendo per “resilienza”?

Vince chi sta in piedi, e un tavolo, per stare in piedi saldamente, ha bisogno di quattro gambe, non una e neppure due.

Durante il COVID infatti, siamo stati messi davanti ad una cruda realtà: un virus in una nazione ha svuotato scaffali in tutto il mondo, rallentando la produzione mondiale.
Ora nessuno vuole più essere così vulnerabile, ecco che quindi ci si sposta, non guardando più solo ai costi, ma appunto anche alla resilienza.


I Pro e i Contro di un Mondo Meno Globale
Ci sono sicuramente dei vantaggi ad avere un mondo meno globale.

Più controllo sulle catene di fornitura, più posti di lavoro locali, meno emissioni nei trasporti e maggiore sicurezza.

Ma ci sono anche contro. I beni diventeranno più cari, le aziende perderanno margini e i consumatori potrebbero trovarsi con meno scelta.

Certo questo a mio avviso sarà almeno il contraccolpo nelle prime fasi, ma aumentando l’occupazione locale e facendo qualche modifica alle tassazioni, dopo una prima fase di austerità, è facile che inizi a girare più denaro e benessere.
Del resto, se aumentano i posti di lavoro, girano più soldi, se aumentano i clienti locali, girano più soldi. Una situazione win win (in seconda battuta).

Il contraccolpo più pericoloso non sarà quindi economico, ma politico: il mondo, diventando meno interdipendente, potrebbe diventare più instabile.

Il commercio globale è stato un freno alla guerra (in teoria, perché di guerre ne abbiamo avute un bel po’).

Più le nazioni dipendono l’una dall’altra, meno è probabile che si sparino addosso, ma se quella rete si sgretolasse, allora il rischio è di un pianeta più frammentato e competitivo sul piano militare.



Conclusione e considerazioni finali
Stiamo dunque vivendo un momento storico in cui non stanno cambiando solo i governi o le leggi, ma stanno cambiando le regole fondamentali dell’economia globale.

Quelle stesse regole su cui abbiamo costruito il nostro mondo negli ultimi 80 anni, potrebbero nei prossimi anni essere ribaltate.

Che tu sia un investitore, un imprenditore, un dipendente o uno studente, questo è il momento di capire e adattarsi.

Perché solo conoscendo la direzione che il mondo sta prendendo, possiamo posizionarci ed evitare di essere schiacciati.

In ambito economico, inutile dire che potremmo trovarci immersi in un nuovo rinascimento, e diventa quindi importante analizzare con attenzione i settori e le aziende su cui puntare.

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Siamo solo all’inizio di questo nuovo capitolo e il mondo, come avrai sicuramente già capito, non sarà più lo stesso.

Ma chi oggi diventa consapevole di cosa stia succedendo e si posiziona, sicuramente sarà partecipe della più grande ondata di ricchezza dell’ultimo secolo.

Un abbraccio,
Stefano

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