Il petrolio da scisto sta segnando nuovi record di produzione, minacciando l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio con un’altra resa dei conti che potrebbe sovvertire il mercato, con il prezzo USA che supera i 55 dollari al barile.
A complicare le cose, l’Arabia Saudita, che domina l’OPEC, è diventata talmente aggressiva nel taglio della produzione che sta persino pensando di cedere la partecipazione di mercato in Asia, la sua destinazione con più valore, per arrivare all’obiettivo desiderato di 80 dollari al barile. Un eventuale vuoto lasciato dai sauditi nella regione può essere facilmente rimpiazzato dai rivali USA. Eccone una prova: il primo contratto annuale di esportazione annunciato dall’India questa settimana per il greggio di tipo USA.
John Kilduff, socio fondatore dell’hedge fund di energetici Again Capital a New York, ha affermato, quando il greggio USA West Texas Intermediate è crollato sotto i 43 dollari al barile lo scorso anno, che i produttori di scisto ad alto costo stavano per essere esclusi dai giochi come nel 2015-2016.
Ma i sauditi hanno aperto nuovi orizzonti a questi operatori tagliando la produzione e spingendo i prezzi del greggio greggio.
Afferma Kilduff:
“Quando si tratta dei tagli alla produzione, per i sauditi potrebbe essere una questione di essere criticati qualunque cosa si faccia. Ma è proprio quello di cui stanno lamentando alcune compagnie petrolifere russe bloccate nel patto di riduzione della produzione con l’OPEC”.
Igor Sechin, a capo del colosso petrolifero russo Rosneft nonché uno dei più stretti alleati di Vladimir Putin, ha scritto al Presidente russo a dicembre, affermando che l’accordo di Mosca sul taglio della produzione stretto con l’OPEC rappresentava una minaccia strategica che avvantaggiava gli Stati Uniti, secondo quanto ha riportato all’inizio del mese Reuters. Non si sa quale impatto abbia avuto l’avvertimento di Sechin su Putin, ma la Russia ha iniziato a prendersela comoda con gli impegni nei confronti dell’OPEC, spingendo i sauditi a raddoppiare i propri tagli.
I sauditi hanno “creato” il problema
Aggiunge Kilduff:
“Con il WTI a meno di 50 dollari, lo scisto era in difficoltà malgrado l’esistenza dei cosiddetti pozzi da 35 dollari che avevano comunque una serie di altri costi. Ma a 56 dollari al barile l’incentivo ad aggiungere altri impianti di trivellazione e fracking è maggiore. Quindi, che lo ammettano o no, i picchi che vedremo d’ora in avanti nella produzione di scisto verranno indirettamente creati dai sauditi stessi”.
Finora, ci sono state poche prove del fatto che un nuovo muro del greggio USA stia pesando sul mercato, con le scorte di greggio della nazione che hanno segnato tutt’al più una crescita modesta nelle ultime settimane. Il numero degli impianti di trivellazione attivi è sceso al minimo di nove mesi di 847 all’inizio del mese e da allora è salito di sole 10 unità.
Tuttavia, la produzione statunitense derivante da sette importanti formazioni di scisto dovrebbe aumentare di 84.000 barili al giorno a marzo al massimo storico di circa 8,4 milioni di barili al giorno, secondo quanto ha dichiarato ieri la U.S. Energy Information Administration, con la rivoluzione dello scisto che continua a far restare al primo posto gli Stati Uniti come principale produttore al mondo, seguito da Arabia Saudita e Russia.
In generale, la produzione petrolifera USA è già schizzata al record settimanale di 11,9 milioni di barili al giorno, rispetto all’obiettivo di fine anno dell’EIA di 12 milioni di barili al giorno. L’agenzia prevede 13 milioni di barili al giorno per la fine del 2020 ma molti esperti del settore si aspettano che anche questa cifra venga superata prima del previsto.
Non tutti credono a questa storia
Per il momento, gli effetti netti dei tagli alla produzione saudita, insieme alle sanzioni sul greggio venezuelano, stanno spingendo l’impennata del greggio. Anche gli hedge fund hanno spinto i prezzi del greggio sulla scia dei tweet del Presidente USA Donald Trump riguardo ai progressi nei negoziati commerciali USA-Cina, ignorando ciò che potrebbe significare il greggio USA a quasi 60 dollari al barile per le scorte di scisto. I dati settimanali di venerdì hanno rivelato che i gestori finanziari hanno alzato le aspettative rialziste sul greggio USA del 10%, il massimo da fine agosto.
Negli scambi asiatici di questo mercoledì, il WTI ed il Brent, riferimento internazionale, sono scesi solo brevemente sulla scia delle ultime previsioni da record sulla produzione di scisto rilasciate dall’EIA, prima di riprendere la loro impennata.
Ma nonostante tutto, il commentatore del Financial Times David Sheppard la scorsa settimana ha sottolineato che “nessuno crede alla storia rialzista”. Secondo lui i produttori petroliferi si stanno organizzando per vendere nelle impennate, in base alle informazioni fornite dalla Commodities Trading Corporation, un’agenzia guidata dai veterani di Morgan Stanley (NYSE:MS).
Il mercato rialzista del greggio giunge anche tra le notizie che le esportazioni petrolifere iraniane a gennaio sono state maggiori del previsto e che sono rimaste almeno stabili questo mese, malgrado le sanzioni imposte a Tehran dal governo Trump.
L’impensabile: i sauditi che cedono la partecipazione sul mercato asiatico
Sebbene i sauditi abbiano raggiunto dei risultati prendendo di mira con i loro tagli alla produzione il tipo di greggio che spediscono negli Stati Uniti, sono anche intenzionati a ridurre le scorte di greggio “leggero” dei carichi di marzo destinati ai clienti asiatici, nel tentativo di evitare un aumento delle scorte asiatiche di questo tipo di greggio. In passato, i sauditi non avevano limitato le forniture di greggio Arab Extra Light destinato ai clienti asiatici oltre ai volumi contratti.
Il tentativo dei sauditi di coprire più basi con i loro tagli alla produzione potrebbe intaccare la loro preziosa partecipazione di mercato in Asia se non stanno attenti, soprattutto con i produttori statunitensi che non aspettano altro che accaparrarsi i loro clienti nella regione.
La Indian Oil Corporation (NS:IOC) questa settimana ha annunciato di aver firmato un accordo da 1,5 miliardi di dollari con gli Stati Uniti nel tentativo di ridurre la dipendenza dai fornitori tradizionali. Si tratta del primo contratto finalizzato da una compagnia petrolifera indiana per importare greggio di tipo USA. Interessante il fatto che l’annuncio sia arrivato un giorno prima che il principe ereditario Mohammed bin Salman, noto anche come MbS, arrivasse in India per una visita di stato.
Afferma Kilduff:
“L’accordo India-USA colpisce proprio quel cuore del mercato asiatico per cui tutti stanno lottando, compresi i sauditi e i russi”.
“Questa intenzione di cedere la partecipazione di mercato asiatica è un qualcosa che non si sarebbe mai visto con Ali Naimi, ex Ministro dell’Energia saudita. Ma l’attuale ministro Khalid al-Falih è un giocatore disposto a seguire le regole di MbS, che sta sostanzialmente determinando la politica petrolifera saudita”.