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Ma alla fine che cos’è il debito e si potrà sconfiggere con l'inflazione?

Pubblicato 10.12.2020, 10:53
Aggiornato 15.09.2023, 15:53

Cos’è un debito? Sembra una domanda facile: un debito è un obbligo che devi pagare. Ma la contabilità pubblica segue una definizione molto più ristretta, secondo la quale il nuovo debito è la differenza tra ciò che il governo ha pagato e ciò che ha ricevuto ed è finanziato dai Treasury emessi.

Se parliamo di America, il debito è lo stock totale dei Treasury, detenuti da individui, istituzioni finanziarie e governi in tutto il pianeta. Ma questa definizione è sia incompleta che distorta. Confonde la nostra comprensione del debito e del deficit e ci porta a sottovalutare quanto realmente siamo indebitati.

Un debito è una qualsiasi promessa finanziaria. Accettare di pagare un sussidio pensionistico tra 20 anni è un debito. Promettere di fornire un’istruzione superiore di dieci anni a un bambino di cinque anni comporta una responsabilità finanziaria. Si potrebbe anche sostenere che il numero di ore in cui una biblioteca è aperta, o qualsiasi servizio governativo, è un obbligo che costa denaro e rappresenta un tipo di debito.

Tecnicamente molti servizi sono discrezionali, quindi esiste la possibilità di ridurli in caso di carenza di denaro e il governo ha persino il diritto di ridurre i trasferimenti della previdenza sociale. Ma il taglio di uno di questi servizi o benefici è, in un certo senso, un inadempimento perché rappresenta un obbligo non completamente eseguito.

L’economia finanziaria attribuisce un valore alle diverse forme di debito in base alla probabilità che vengano pagate. Gli obblighi che è più probabile vengano pagati sono più preziosi. Le ore di biblioteca si riducono facilmente durante una crisi di bilancio, ma le pensioni sono raramente tagliabili.

In effetti se i fallimenti sovrani e municipali del passato sono una guida, le pensioni di solito vengono pagate prima delle obbligazioni. Quindi le pensioni non sono conteggiate come “debito”, sebbene siano spesso trattate come tali rispetto alle obbligazioni, che sono invece definite come debito.

Non si tratta solo di arcane convenzioni contabili. Il numero che mettiamo sul debito può determinare i tassi di interesse e quanto spendiamo. Un tempo un disavanzo di trilioni di dollari sarebbe stato quasi impensabile, ma quest’anno si prevede che gli Stati Uniti registreranno un disavanzo di oltre 3 trilioni di dollari.

Sebbene gran parte di questa spesa sia legata al Covid 19, io personalmente non vedo una fine nei prossimi anni. In base ai piani attuali, prevedo un deficit di $ 24 trilioni nei prossimi 10 anni, e i piani di spesa di Joe Biden aggiungerebbero altri $ 11 trilioni di debiti.

Questi numeri escludono molti obblighi. Supponendo che non vengano apportate modifiche ai programmi attuali, gli obblighi di Medicare e previdenza sociale non finanziati ammonterebbero a 50 trilioni di dollari.
Non è tutto: potremmo anche includere pensioni militari e assistenza sanitaria, ossia ulteriori 82 miliardi di dollari. Potremmo includere anche le pensioni statali e locali non finanziate, che probabilmente potrebbero essere considerate all’interno delle stime federali, poiché esiste una possibilità non banale di un salvataggio, e che rappresentano altri $3,8 trilioni.

 
Il deficit fiscale sarà eroso da una inflazione modesta

I numeri che ti ho presentato sono enormi e scoraggianti. Le risposte politiche della Federal Reserve (Fed) e del Congresso sono le più significative dalla seconda guerra mondiale.


Le molteplici fasi della risposta fiscale potrebbero spingere il deficit di bilancio americano di quest’anno a $ 3,7 trilioni o più e il debito federale è destinato a superare il 100% del PIL. Gli investitori sono ragionevolmente preoccupati per come questi “esperimenti politici” potrebbero andare storto.

– Potrebbero segnare un ritorno all’inflazione dilagante come quella degli anni 70?
– È sostenibile un carico di debito pubblico così elevato?
– Quali altri rischi potrebbero essere in agguato?

I rischi sono reali, ma non dovrebbero essere esagerati. Ritengo che il crescente debito degli Stati Uniti non rappresenti una minaccia imminente alla capacità del governo di onorare i propri obblighi a tassi di interesse gestibili. Né mi aspetto che i programmi della Fed o la risposta fiscale del governo porteranno a un’inflazione sensibilmente elevata, soprattutto nel breve termine, quando ritengo che la tendenza strutturale di inflazione sia orientata verso il calo piuttosto che all’aumento dei prezzi. Per essere franchi, la paura dell’iperinflazione è infondata.

 
Prezzi al consumo, la politica monetaria, la politica fiscale, la valuta e il debito pubblico

In un regime di inflazione modesto (il nostro scenario di base), i rendimenti obbligazionari dovrebbero rimanere a livelli bassi, mentre i prezzi delle azioni e altre attività “più rischiose” dovrebbero essere sufficientemente supportati.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a crescenti preoccupazioni sugli effetti dell’aumento dell’inflazione. Ma i dati sui prezzi al consumo di ottobre 2020 ci dimostrano che il quadro a breve termine è nella normalità, anzi è tendente ad una fase di raffreddamento dell’inflazione fino alla metà del 2021. La variazione su 12 mesi dell’indice dei prezzi al consumo è scesa dal 2,3% di febbraio a solo lo 0,8% di ottobre, in gran parte attribuibile al calo dei prezzi dell’energia. Anche escludendo cibo ed energia, i cosiddetti prezzi “core” hanno mostrato in estate il più grande calo mensile mai registrato.

Con la revoca dei lockdown le economie avranno un aspetto molto diverso rispetto a prima della pandemia. Ristoranti e aeroplani offriranno meno posti disponibili, i locali di musica venderanno meno biglietti e le catene di fornitura globali potrebbero essere facilmente interrotte. Alcuni settori e società potrebbero aumentare ad un livello più alto i prezzi a causa di un’offerta limitata, ma ritengo che tale sarà limitata e di durata relativamente breve.

Il mercato del lavoro e gli affitti insieme rappresentano circa il 55% dell’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti, con l’assistenza sanitaria che copre un ulteriore 10% circa. È difficile vedere molta pressione inflazionistica proveniente da queste categorie principali dopo che l’economia sarà ripartita.

Inoltre, con l’aumento della disoccupazione, non mi aspetto una pressione salariale al rialzo, soprattutto perché la crescita dei salari era già moderata prima della crisi, quando il tasso di disoccupazione era inferiore al 4%.

 
Conclusione

Nonostante si senta parlare ovunque di ripresa dell’inflazione o addirittura di iperinflazione futura, credo che dobbiamo essere cauti nel fare questo tipo di previsione. Data la vastissima complessità dell’argomento, credo che sarebbe un errore enorme non considerare tutti i fattori macroeconomici in gioco, anche quelli indicativi di una ripresa dell’inflazione: solo analizzando la situazione con la visione più ampia ed oggettiva possibile si possono prendere le decisioni più efficienti.

Appoggio molte delle idee sottostanti alle teorie che prevedono una riprese inflattiva ma ritengo ancora presenti le pressioni deflattive strutturali di lungo termine che l’economia americana (o mondiale) ha vissuto e sta vivendo tutt’ora. Credo quindi che, sebbene una ripresa dell’inflazione sia probabile e naturale a causa di una normalizzazione dell’economia, i prezzi non possano superare livelli tali da preoccupare gli investitori, a causa di un tetto determinato proprio da tali tendenze deflattive strutturali ancora persistenti.

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