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May ha ancora bisogno di un miracolo malgrado la breve proroga della Brexit

Pubblicato 22.03.2019, 12:40
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Di Geoffrey Smith

Il Primo Ministro Theresa May è arrivata a Bruxelles senza un piano B, così l’Unione Europea gliene ha scritto uno e l’ha rispedita a Londra a presentarlo.

Il piano ha permesso di guadagnare un paio di preziose settimane per aiutare il Regno Unito ad evitare di uscire dall’UE senza alcun accordo di transizione. Tuttavia, non sembra essere sufficiente, da solo, a rompere l’impasse nel Parlamento britannico per consentire una Brexit ordinata. Una situazione “senza accordo” al momento rappresenta non solo l’esito legale di default ma anche il più probabile.

O almeno è quello che pensano i mercati Forex. La sterlina ha perso oltre due centesimi contro il dollaro dopo l’arrivo di May a Bruxelles, sebbene ne abbia recuperato la metà per attestarsi a 1,3125 alle 20 ET (00:00 GMT).

May ha lasciato Bruxelles appigliandosi ancora al piano A: vuole ripresentare alla Camera dei Comuni il suo piano di divorzio, già bocciato due volte, affinché sia votato per la terza volta. Il Presidente della Camera, che determina la procedura, ha tuttavia sentenziato che il governo non può proporre due volte la stessa mozione nella stessa seduta del Parlamento senza alcun cambiamento sostanziale.

Gli eventi di ieri non hanno cambiato di una virgola il piano di divorzio. May ha chiesto una proroga di tre mesi della scadenza del 29 marzo. Alla fine, l’UE le ha concesso fino alla fine della prossima settimana per far approvare il suo piano di divorzio al Parlamento. Se ci riuscirà, il Regno Unito lascerà l’UE il 22 maggio, il giorno prima delle elezioni del Parlamento Europeo. Se dovesse fallire, allora il Regno Unito uscirà senza accordo il 12 aprile, salvo una trasformazione politica a Westminster.

In una conferenza stampa dopo il summit, il Presidente del Consiglio UE Donald Tusk ha spiegato che le altre opzioni restano ancora aperte: il Regno Unito potrebbe chiedere una proroga più lunga, ma dovrebbe accettare di tenere le elezioni del Parlamento UE. Nessuno dei principali partiti ha il fegato di farlo, dopo aver detto agli elettori negli ultimi tre anni che onoreranno il risultato del referendum del 2016 “realizzando la Brexit”.

Al contrario, in modo più radicale, il Regno Unito potrebbe revocare la sua decisione ufficiale di uscita (il cosiddetto processo dell’Articolo 50). Nessuna di queste opzioni è probabile. Una petizione online per chiedere al Parlamento di revocare il processo previsto dall’Articolo 50 può anche aver raccolto più di 2 milioni di firme in due giorni ma ha comunque meno peso dei 17,4 milioni di voti a favore della Brexit di tre anni fa.

La speranza di evitare una cosiddetta hard Brexit viene riposta di conseguenza nel riportare l’accordo di divorzio ad un dibattito alla Camera. Anche in questo caso, i rischi abbondano: Bercow non ha specificato quali cambiamenti sarebbero ritenuti abbastanza “sostanziali” da garantire un terzo voto e i legislatori dissidenti non riescono a mettersi d’accordo sul tipo di Brexit che sarebbero disposti a votare se ne avessero la possibilità.

Mentre May si trovava a Bruxelles, i principali sindacati e le imprese hanno preso la decisione senza precedenti di rilasciare una dichiarazione congiunta per chiederle di evitare una Brexit senza accordo.

“Il nostro paese si ritrova in un’emergenza nazionale”, hanno scritto in una lettera aperta la Confederazione delle Industrie britanniche e il Congresso dei sindacati, avvertendo che:

“Le decisioni degli ultimi giorni hanno comportato la possibilità di un aumento del rischio di non avere un accordo. Aziende e comunità in tutto il Regno Unito non sono pronte per quest’esito. Lo shock per la nostra economia sarà avvertito dalle prossime generazioni”.

La soluzione più elegante, sebbene sia quella che farebbe arrabbiare i sostenitori della Brexit, sarebbe che la Camera approvasse il piano di divorzio alla condizione che venga confermato dalla gente con un nuovo referendum, idealmente una votazione che offra anche le opzioni di restare in UE e di uscire senza accordo.

Un emendamento su questa linea, abbozzato da due legislatori Laburisti, è caduto nel vuoto due settimane fa per via dell’opposizione sia da parte di May che del leader dello stesso partito Laburista, Jeremy Corbyn, ma è possibile che entrambi i leader lo trovino preferibile alle conseguenze di una Brexit caotica.

La questione non è se i leader britannici abbiano la prontezza di trovare un modo per uscire dall’impasse, bensì se ne abbiano la volontà. I segnali sono ancora tutt’altro che incoraggianti.

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