Mercati europei in consolidamento, ma gli investimenti esteri crollano ai minimi.

Pubblicato 16.05.2025, 09:04

“Non indugiare sul passato; non sognare il futuro, concentra la mente sul momento presente.” (Buddha)

Mercati europei in consolidamento, ma gli investimenti esteri crollano ai minimi. Le borse europee hanno terminato la seduta di giovedì prevalentemente positive, proseguendo nella fase di consolidamento dopo i recenti rialzi. Lo STOXX 600 avanza del +0,6%, così come il FTSE 100 britannico (+0,6%) e il DAX di Francoforte (+0,7%). Più contenuti invece gli incrementi per il CAC di Parigi (+0,2%) e per il FTSE Mib (+0,15%), quest’ultimo confermandosi sopra la soglia psicologica dei 40 mila punti. A frenare gli entusiasmi, tuttavia, è giunto un report di EY sugli investimenti esteri diretti (FDI) in Europa, scesi ai minimi degli ultimi nove anni nel 2024. Lo scorso anno si è registrato il secondo consecutivo calo di progetti sostenuti da investitori stranieri, influenzato dalla debole crescita economica, dagli alti costi energetici e dalle persistenti tensioni geopolitiche. La Francia si è confermata il Paese più attrattivo con 1.025 progetti, seguita dal Regno Unito (853 progetti) e dalla Germania (608 progetti). Tuttavia, Francia e Germania hanno registrato una riduzione del numero dei progetti rispettivamente del 14% e del 17%, mentre il Regno Unito è sceso del 13%. Particolarmente marcato il calo a Londra, con una contrazione del 31% rispetto al 2023, nonostante la capitale britannica rimanga la regione europea più attrattiva per investimenti esteri. Il report evidenzia come il 42% dei business leader intervistati ritenga che le politiche commerciali e tariffarie dell’amministrazione Trump stiano danneggiando l’attrattività europea, con il 37% degli intervistati che ha posticipato o ridotto significativamente i piani di investimento.

Wall Street in rialzo, ma i mercati restano cauti sulle trattative USA-UE

Wall Street ha archiviato una seduta prevalentemente positiva, con il Dow Jones (+0,65%), l’S&P 500 (+0,41%) e il Russell 2000 (+0,52%) in progresso. Fa eccezione il Nasdaq (-0,18%), che interrompe una serie positiva di sei sedute consecutive, anche se rimane in forte guadagno settimanale (oltre il 6%). Nonostante l’ottimismo, emergono segnali di prudenza con un ritorno di interesse verso i settori difensivi e un rialzo dei tassi obbligazionari, con il rendimento dei Treasury a 10 anni che torna sopra il 4,50%, frenando in parte il sentiment positivo. Inoltre, l’attenzione resta alta sul fronte diplomatico-commerciale. Dopo l’intesa con il Regno Unito e la significativa riduzione delle tensioni tariffarie con la Cina, il mercato ora guarda alle trattative tra USA e Unione Europea. Bruxelles starebbe rivedendo le proprie proposte per sbloccare le negoziazioni, puntando a una riduzione congiunta di barriere tariffarie e non tariffarie e a incrementare gli investimenti negli Stati Uniti. Tuttavia, permangono notevoli divergenze, tra cui il nodo cruciale dell’IVA europea, che gli Stati Uniti considerano una barriera non tariffaria, mentre per l’UE resta una questione di sovranità fiscale non negoziabile. Sebbene un accordo sia possibile, analisti e diplomatici europei prevedono un iter negoziale lungo e complesso.

Petrolio in calo, crescono speranze per accordo nucleare USA-Iran

Il mercato petrolifero è tornato protagonista con una sensibile correzione dei prezzi, spinta dalle crescenti aspettative per un accordo nucleare di breve termine tra Stati Uniti e Iran. Una tale intesa consentirebbe un immediato aumento delle forniture iraniane sul mercato internazionale, mitigando le recenti tensioni geopolitiche che avevano contribuito a sostenere il prezzo del greggio. La possibile distensione tra Washington e Teheran ha portato a un’ulteriore diminuzione delle quotazioni petrolifere, con il Brent e il WTI che nelle ultime sedute hanno perso terreno dopo i rialzi delle scorse settimane: -3% in una settimana, -13% da inizio anno, poco sopra la soglia di $60. Questo elemento potrebbe contribuire ad alleviare parte della pressione inflazionistica globale, offrendo spazi di manovra aggiuntivi alle banche centrali in un contesto macroeconomico ancora incerto e fortemente influenzato dalle decisioni di politica commerciale dell’amministrazione Trump.

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