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Non sarà semplice chiudere i tagli OPEC; l’oro guarda alla Cina e all’economia

Pubblicato 15.04.2019, 14:57
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Anche se ci si aspetta che i tori proseguano con la loro spinta per il greggio USA a 65 dollari ed il Brent a 73 dollari questa settimana, i long più accorti terranno d’occhio i segnali di una riluttanza russa a proseguire con i tagli alla produzione OPEC dopo giugno, una decisione che potrebbe pesare seriamente sull’impennata del greggio.

Per quanto riguarda l’oro, i mercati si concentreranno nuovamente sulle trattative commerciali USA-Cina e sull’eventualità che le svolte nella questione comportino maggiori flussi di fondi dal dollaro al metallo prezioso. Saranno tenute d’occhio anche le prospettive sull’economia mondiale, con una raffica di dati, dalla bilancia commerciale della zona euro all’indice PMI manifatturiero USA.

Sul fronte del greggio, il Ministro delle Finanze russo Anton Siluanov, secondo quanto riporta l’agenzia stampa TASS, avrebbe affermato che Mosca e l’OPEC potrebbero decidere di aumentare la produzione per lottare per la partecipazione di mercato con gli Stati Uniti, sebbene ci sia il rischio che i prezzi del greggio possano finire per crollare ai minimi di 40 dollari al barile se le cose dovessero veramente andare così.

Cresce lo scontento dei russi per l’accordo OPEC+

Non è la prima volta che i russi esprimono scontento nel continuare con i tagli alla produzione per aiutare i sauditi ad inasprire ulteriormente i mercati in base al cosiddetto accordo OPEC+, quando le scorte di greggio globali sono già ridotte per via dei timori di interruzioni dovute alla guerra civile in Libia ed alle sanzioni USA contro Venezuela ed Iran.

Kirill Dmitriev, a capo del fondo sovrano russo che ha studiato la cooperazione di Mosca con l’OPEC, ha di recente affermato che vorrebbe che il paese producesse più greggio.

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Ma i sauditi, virtualmente a capo dell’OPEC, vorrebbero che i tagli restassero in vigore. Il prezzo desiderato dai russi per il greggio è di circa 42 dollari al barile, mentre i sauditi hanno bisogno che si attesti a circa 84 dollari o più per il proprio bilancio.

Igor Sechin, Amministratore Delegato della principale compagnia petrolifera russa, Rosneft, è tra coloro che tentano di convincere il Presidente russo Vladimir Putin a mettere fine al patto con l’OPEC che, secondo lui, rappresenta una minaccia strategica per Mosca a tutto vantaggio degli Stati Uniti.

Putin, tuttavia, ha dichiarato di non aver deciso come proseguirà la collaborazione di Mosca con l’OPEC.

I sauditi temono che il mercato superi le scommesse degli hedge fund

I sauditi stessi sono consapevoli della necessità di aumentare la produzione petrolifera da ora ai prossimi mesi per evitare che il mercato superi i livelli che potrebbero scatenare una distruzione della domanda.

WTI Daily Chart

Sebbene i tagli dell’OPEC+ siano stati il principale fattore fondamentale dell’impennata del 41% di quest’anno del West Texas Intermediate e del 32% del britannico Brent, è vero anche che un rimbalzo di tale portata non sarebbe stato possibile in meno di quattro mesi senza tutto il denaro arrivato sul greggio da parte di hedge fund ed altri gestori di denaro.

E, tra i segnali che gli hedge fund hanno ancora molta intenzione di continuare a concentrarsi sul greggio, c’è il pericolo che il mercato possa andare oltre l’obiettivo e che il controllo sul prezzo possa passare dalle mani dell’OPEC a quello dei gestori di fondi.

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Le esportazioni petrolifere USA, che hanno raggiunto i massimi storici di 3,6 milioni di barili al giorno a marzo, si sono fatte strada anche verso clienti dei sauditi come Indian Oil. La produzione di greggio USA stessa si stima ammonti ai massimi storici di 12,2 milioni di barili al giorno, rispetto a quella saudita che al momento si trova ad almeno il 20% al di sotto della norma.

Tuttavia, i sauditi temono che un eventuale annuncio della sospensione dei tagli possa scatenare un’istantanea inversione delle posizioni degli hedge fund, che potrebbe portarli a perdere più del previsto.

Sebbene il Ministro delle Finanze russo Siluanov possa sembrare allarmista con l’avvertimento di un calo ai livelli di 40 dollari, la posta in gioco per Riad è troppo alta per fare una mossa sbagliata, spiegano gli analisti.

Tra l’incudine e il martello

Dominick Chirichella, direttore del rischio e del trading del New York Energy Management Institute, nella sua nota del weekend lascia intendere che russi e sauditi si trovino tra l’incudine e il martello nel voler evitare ulteriori perdite di partecipazione di mercato a favore del greggio USA derivanti dai loro tagli alla produzione e nel voler assicurarsi, al contempo, che i prezzi del greggio non scendano troppo rispetto al livello attuale.

Spiega Chirichella:

“Salvo altri eventuali eventi geopolitici a pesare sulle scorte, l’OPEC ha suggerito che durante il vertice di giugno discuterà dei fattori che potrebbero convincere il gruppo e gli alleati ad aumentare la produzione”.

“In occasione del vertice del 25/26 giugno, intendono considerare anche il livello dei prezzi se le scorte dovessero continuare a scendere per via dell’evoluzione di eventi geopolitici in numerosi paesi produttori. E ciò potrebbe limitare i prezzi, in quanto degli illimitati movimenti al rialzo avranno alla fine un impatto negativo sulla crescita economica globale e di conseguenza sulla crescita della domanda di greggio globale”.

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Nonostante tali piani, Chirichella dubita che Riad possa decidere di fermare i tagli, a meno che non sia costretta.

Scrive nel suo articolo del fine settimana che, anche se l’OPEC ha perso partecipazione di mercato a vantaggio degli Stati Uniti negli ultimi mesi, “i prezzi più alti e la riduzione delle scorte globali rappresentano un obiettivo più importante”.

Aggiunge Chirichella:

“Nel 2014, quando l’OPEC ha deciso di supportare la partecipazione di mercato di fronte all’aumento della produzione petrolifera USA, ciò si è rivelato un fallimento finanziario, con i prezzi WTI spot passati in trend ribassista fino al minimo di 26,05 dollari del febbraio 2016”.

“Rispetto al minimo del febbraio 2016, il prezzo WTI spot è ora più alto di 37,84 dollari, o del 145%”.

Di conseguenza, conclude:

“Prevedo che l’OPEC continui a concentrarsi su una strategia di supporto dei prezzi a scapito della partecipazione di mercato per l’immediato futuro”.

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