di Jason Martin
Sebbene le “trattative” sulla Brexit tra Unione Europea (UE) e Regno Unito si trascinino da mesi, sono stati compiuti pochi progressi sulle questioni veramente importanti per i mercati.
Effettivamente, il paese potrebbe perdere l’opportunità di siglare un “buon accordo” sui futuri accordi commerciali con i “prossimi” ex partner europei.
Tra le principali preoccupazioni per il Regno Unito, ci sarà l’impatto economico dei nuovi accordi che saranno elaborati in merito alle imprese con il suo principale partner commerciale, tra cui dogana e tariffe, o la possibilità della perdita di posti di lavoro con le aziende che scelgono di spostare le proprie attività in altre parti di Europa che fanno parte dell’UE, insieme a tutti gli aspetti dei legami bilaterali tra i due soci.
Le trattative sull’uscita del Regno Unito sono iniziate ufficialmente il 19 giugno, quasi un anno dopo il referendum del 23 giugno 2016 con cui il paese ha deciso di lasciare il gruppo di 28 membri dell’UE creato per stabilire una potenza politica ed economica che, tra l’altro, consente la libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali all’interno del suo mercato.
I negoziatori di entrambe le parti si incontrano faccia a faccia per circa una settimana ogni mese ma sembrerebbe che siano stati compiuti pochi progressi.
L’UE ha ribadito che le trattative devono essere focalizzate principalmente sui diritti dei cittadini di ogni regione che attualmente vivono sotto la giurisdizione dell’altra parte, sul confine tra l’Irlanda, membro UE, e l’Irlanda del Nord, territorio britannico, e sulla quantità di denaro che il Regno Unito dovrà sganciare all’UE come “tariffa di divorzio” e che coprirà gli obblighi finanziari del paese nei confronti del blocco europeo.
Entrambe le parti hanno discusso nel dettaglio quali diritti dovrebbero avere i rispettivi cittadini che vivono nell’altra regione quando la separazione diventerà ufficiale, ma queste trattative non hanno fatto altro che mettere in evidenza su cosa sono d’accordo o meno e su cosa c’è ancora bisogno di discutere.
Sia il Regno Unito che l’UE sembrano concordare che il confine irlandese sia una situazione particolare da gestire con attenzione per non danneggiare i progressi compiuti nei 25 anni di processi di pace.
Il punto di stallo principale prima che l’UE consenta di iniziare a discutere un futuro accordo commerciale sembra essere il “prezzo del divorzio”.
L’UE afferma che il Regno Unito dovrebbe pagare circa 60 miliardi di euro (53,5 miliardi di sterline, 70 miliardi di dollari), mentre il Primo Ministro Theresa May suggerisce un importo inferiore, circa un terzo della cifra proposta.
L’UE ha reso noto che sono stati fatti dei passi avanti, ma finora non sono sufficienti per procedere al prossimo passo degli accordi commerciali futuri.
Al termine del sesto round di trattative il 10 novembre, il responsabile UE delle trattative sulla Brexit Michel Barnier ha chiesto dei chiarimenti su questo aspetto dell’accordo entro due settimane, per poter passare alla seconda fase delle trattative, che comprende il commercio.
Si spera in dicembre
Il Consiglio Europeo, che comprende i capi di stato dei paesi membri UE, ha in agenda il cosiddetto Summit UE il 14 e 15 dicembre.
Al momento è l’evento che si prevede possa costituire il prossimo importante passo per le trattative sulla Brexit, quando l’UE potrebbe decidere di procedere con le trattative sui futuri accordi commerciali con il Regno Unito.
Una mancata approvazione sarebbe considerata un intoppo rilevante, mentre ci si avvicina al 2018 ed alla data del 29 marzo 2019, la data ufficiale del divorzio.
Entrambe le parti sperano vivamente di avere il tempo di respirare, dal momento che qualsiasi accordo dovrà essere approvato dai politici di ciascuna regione, un processo che probabilmente sarà molto lungo.
Per quanto riguarda l’UE, la bozza di accordo sarà inviata al Consiglio Europeo, dove dovrà ottenere l’approvazione di 20 dei 27 membri, in rappresentanza del 65% della popolazione, prima di essere inviata al Parlamento UE per essere ratificata.
Nel Regno Unito, il Primo Ministro Theresa May ha promesso che cercherà di avere il voto di approvazione con la formula “prendere o lasciare” sia alla Camera dei Comuni che alla Camera dei Lord nel Parlamento britannico.
Le imprese brancolano nel buio
Tra le proteste delle imprese britanniche, May sta cercando di ottenere un periodo di transizione con l’UE per mantenere gli attuali accordi in modo che entrambi i partner possano effettuare degli aggiustamenti su eventuali accordi. “Un periodo di implementazione tassativamente limitato dal punto di vista temporale sarà cruciale per il nostro successo futuro”, ha dichiarato.
Si spera ancora una volta nel summit UE di metà dicembre per ottenere almeno il permesso di iniziare a discutere gli accordi su commercio e transizione.
Il Segretario britannico alla Brexit David Davis ha reso noto che il Regno Unito spera di raggiungere un accordo sul periodo di implementazione nel primo trimestre, il che implica che entrambe le parti avrebbero solo circa un anno prima della data di divorzio per definire i dettagli.
In gioco al momento, senza una chiara “procedura di divorzio” c’è la capacità delle compagnie di stabilire i loro piani di emergenza per il divorzio, dal momento che continuano a restare impantanate nell’incertezza sul quadro finale su cui il Regno Unito e l’UE potrebbero trovare un accordo.
La Confederazione delle Industrie Britanniche (CBI) ha avvertito che, secondo un sondaggio sulle imprese, solo il 10% ha iniziato ad implementare piani di uno “scenario senza accordo”, noto come “hard Brexit”, mentre il 60% ha affermato che inizierà a prendere provvedimenti entro marzo.
“Il periodo che precede il Natale è straordinariamente importante per le trattative sulla Brexit, le aziende hanno davvero bisogno di avere più certezze e più chiarezza ed il motivo per cui è diventato così urgente è che siamo nel periodo delle decisioni”, ha avvertito il direttore generale della CBI Carolyn Fairbairn in un’intervista del 5 novembre con la BBC.
“Il messaggio da parte nostra, da parte delle imprese, è di avere maggiore certezza velocemente, in particolare riguardo la transizione, in particolare nelle prossime quattro settimane”, ha aggiunto.
Il Presidente della CBI Paul Drechsler, in una conferenza del 6 novembre, ha notato che le imprese britanniche maggiori e con più risorse stanno facendo da apripista con piani di emergenza, ma ha avvertito che le piccole e medie imprese stanno incontrando delle “difficoltà nel pianificare, prevedere e calcolare”.
Alla stessa conferenza della CBI, anche l’amministratore delegato di BT Group Gavin Patterson ha ribadito che per le imprese il tempo stringe per iniziare a prendere delle decisioni ed ha chiesto chiarezza, avvisando che le compagnie non hanno altra scelta che prepararsi ad una hard Brexit.
“All’inizio del prossimo anno solare (un accordo sulla transizione) inizierà a perdere valore”, ha affermato.
“Alla fine, l’orizzonte di pianificazione, per la maggior parte delle imprese a cui senz’altro mi rivolgo, va da un anno a 18 mesi”, ha spiegato Patterson. “Se non si avranno certezze a quel punto, ci si inizierà a preparare per lo scenario peggiore”, ha concluso.
Secondo il principale supervisore bancario della Banca Centrale Europea Daniel Nouy, circa 50 banche che operano in UE dal Regno Unito si sono rivolte a dei supervisori per chiedere informazioni su come trasferirsi e continuare con le attività.
Tuttavia, Nouy ha notato anche che la BCE è preoccupata per le altre numerose banche che stanno ancora rinviando i piani di emergenza.
Ma le imprese britanniche ed europee non sono le sole a vivere nell’incertezza.
Lloyd Blankfein, Presidente ed Amministratore Delegato di Goldman Sachs (NYSE:GS), sembra essersi preparato ad ottobre quando ha elogiato il tempo trascorso a Francoforte con un tweet chiaramente riferito all’idea che le imprese finanziarie potrebbero benissimo spostarsi nella capitale finanziaria tedesca ed ha affermato che avrebbe “trascorso molto più tempo lì”.
sottolineando l’incertezza del processo della Brexit e promettendo che GS procederà con i piani di avere la sede europea a Londra, sebbene abbia ammesso che le trattative sulla Brexit hanno lasciato “così tanto fuori dal nostro controllo”.{{%twitter%https://twitter.com/lloydblankfein/status/924969181057036288">
L’impatto di una hard Brexit
Nel peggiore dei casi, quello cioè di una “hard Brexit”, in cui le due parti non riescono a raggiungere un accordo commerciale, verranno applicati i regolamenti dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ai prodotti inviati dal Regno Unito all’UE e viceversa.
Molti prodotti industriali vedranno un improvviso aumento delle tariffe dal 2% al 3%, mentre quelle sulle auto schizzeranno del 10% e quelle sui prodotti agricoli vedranno un’impennata tra il 20% e il 40%.
Alle imprese britanniche che esportano in UE sarà richiesto inoltre di presentare i propri prodotti all’autorità doganale britannica, la HM Revenue and Customs (HMRC).
È stato già predisposto un sistema di riserva, secondo cui le stesse tariffe saranno applicate a ciascun paese con cui il Regno Unito non ha un accordo particolare.
La HMRC stima che circa 130.000 imprese che esportano in UE avranno a che fare con la dogana per la prima volta.
Inutile dire che lo scenario senza accordo avrà il suo peso sull’economia britannica.
Secondo i dati, si prevede che la crescita economica britannica scenda solo all’1,7% quest’anno, rispetto all’1,8% del 2016.
Tuttavia, su base comparabile, il Regno Unito ha registrato la seconda crescita maggiore dei paesi del G7 l’anno scorso, mentre la crescita del terzo trimestre quest’anno è stata pari solo allo 0,4%, avviandosi a confermare la lettura del secondo trimestre, il tasso di crescita più debole del gruppo.
Inoltre, il paese sta per registrare la crescita annua peggiore dal pieno della recessione dopo aver registrato un aumento solo dell’1,0% nei primi nove mesi dell’anno, il tasso di espansione più lento dal 2009 per il periodo che va da gennaio a settembre.
Gli esperti sono ancora convinti che verrà raggiunto un accordo tra il Regno Unito e gli altri 27 membri dell’UE sul commercio e sul periodo di transizione.
Tuttavia, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nelle ultime prospettive economiche regionali ha avvertito di non aver considerato uno scenario senza accordo, ma che è certo che una Brexit “negativa” avrà probabilmente un impatto dannoso.
“Se il Regno Unito lascerà l’Unione Europea senza un accordo, ci sarà un notevole aumento delle barriere commerciali, potenzialmente insieme ad un’interruzione dei servizi in vari settori, con un impatto negativo significativo sull’attività economica”, secondo il FMI, che ha aggiunto che ciò comporterà “una crescita sensibilmente inferiore a quella attualmente prevista”.
Il momento cruciale per la sterlina?
Forse l’impatto più evidente dell’incertezza della Brexit si vede sulla sterlina. Il cambio è crollato di circa il 12% dal prezzo di chiusura di 1,4879 del giorno prima dell’annuncio del risultato.
Anche se la sterlina è riuscita a registrare un’impressionante ripresa dai minimi di ottobre, in parte per via delle misure della Banca d’Inghilterra per controllare l’inflazione tramite l’inasprimento della politica monetaria, un accordo tra Regno Unito e UE sulla Brexit resta un fattore di rischio significativo per la valuta.
“Il summit UE di dicembre costituirà un momento cruciale per la nostra previsione positiva sulla sterlina”, ha spiegato di recente lo stratega di ING Viraj Patel. “Se le trattative sul divorzio resteranno in stallo e ci sarà un impasse nei progressi su un accordo sulla transizione, temiamo che la sterlina possa trasformarsi nella “grande corta” del 2018”.
La BoE è preoccupata per la possibilità di una hard Brexit
Nell’ultimo report sull’inflazione, coinciso con l’aumento dei tassi, la Banca d’Inghilterra (BoE) ha ammesso che la Brexit è stato il “principale fattore decisivo” per le sue previsioni ed ha spiegato l’impatto riscontrabile che la decisione di lasciare l’UE ha già avuto.
L’inflazione che ha mancato il bersaglio riflette in modo predominante gli effetti sui prezzi all’importazione del calo della sterlina dovuto al referendum.
Le incertezze causate dalla Brexit stanno pesando sull’attività nazionale, che è rallentata anche se la crescita globale è aumentata significativamente.
I vincoli legati alla Brexit sugli investimenti e la forza lavoro sembrano alimentare il marcato rallentamento, risultato evidente negli ultimi anni, del tasso a cui l’economia può crescere senza generare pressioni inflazionarie.
Non diversamente dalle imprese britanniche, anche la BoE ammette che non può fare altro che guadare le acque dell’incertezza al momento.
“L’impatto della Brexit sulle previsioni evolverà col procedere delle trattative.
In particolare, qualsiasi chiarimento dell’incertezza in merito alla natura ed alla transizione delle future relazioni britanniche con l’UE limitatamente all’influenza sul comportamento di famiglie, imprese ed operatori dei mercati finanziari comporterà una rivalutazione delle prospettive economiche”, afferma.
E il governatore della BoE Mark Carney è convinto che l’economia britannica crescerà più lentamente a breve termine se il paese non dovesse riuscire ad assicurarsi un accordo commerciale futuro con l’UE dopo la Brexit.
“A breve termine, senza dubbio, se avremo materialmente meno accesso (al mercato unico UE) rispetto ad ora, quest’economia avrà bisogno di ritrovare l’orientamento e in quel periodo di tempo questo peserà sulla crescita” ha affermato durante un’intervista del 5 novembre con ITV.
Le parole di Barnier secondo cui il Regno Unito ha due settimane di tempo per chiarire le proprie responsabilità finanziarie all’UE ridimensionano ancor di più il conto alla rovescia.
L’incapacità di superare la prima fase delle trattative in tempo per il summit di dicembre non farebbe che esacerbare l’incertezza che affligge le imprese britanniche.
Mentre infuria ancora il dibattito per capire se il Regno Unito starà meglio o meno fuori dall’UE, il tempo per evitare una hard Brexit e concludere un buon accordo commerciale sta per scadere. Tic-tac!