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Occhi sulla crescita globale (e cinese)

Pubblicato 12.02.2019, 09:14
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Hedgeye

La fase laterale di consolidamento (vicina ai massimi di periodo) continua. Un accordo per evitare una nuova chiusura governativa sembra alle porte. La massima disponibilità della Fed ad evitare, nei limiti delle sue possibilità, il ripetersi di fasi ad alta volatilità ribassista come quella dicembrina sembra ormai ‘incassata’. Il punto chiave diventa a questo punto l’evoluzione dell’economia globale che continua a fornire segnali non troppo incoraggianti.

Una Fed che abbandona il suo percorso di normalizzazione mostrando la massima ‘pazienza’ possibile nell’attendere un quadro macroeconomico auspicabilmente più chiaro (anche lasciar depositare il polverone causato dallo shutdown governativo di gennaio fa parte del gioco) è stata comprensibilmente un’ottima notizia per i mercati finanziari, rimessi per l’appunto in carreggiata dalla virata di Powell arrivata proprio quando la paura e il pessimismo erano massimi. Soprattutto lo è stata in quanto l’attivismo della Fed è stato frenato in maniera preventiva, conl’economia reale (a differenza degli indici azionari che avevano inscenato una discesa significativa con una volatilità ribassista estrema) che finora si è limitata a mostrare qualche segnale di affaticamento ma non certo di cedimento più importante. Qui sta infatti il vero nodo della questione. Il rallentamento globale degli ultimi mesi è innegabilmente davanti ai nostri occhi. Sarà solo una fase fisiologica,su cui hannopesato/stanno pesando tra le altre cose anche le tensioni tra Stati Uniti e Cina, destinata a produrre una ripartenza in grado di sfruttare quello che resta di un ciclo maturo grazie a banche centrali accomodanti e aziende ancora in grado di generare utili crescenti? Oppure stiamo vedendo solo l’inizio di una avvitamento più sinistro, con stimoli fiscali in diminuzione, una fiducia più precaria dopo la lunga espansione e l’esposizione debitoria che inizia a pesare? Credo che a questo punto l’atteggiamento della Fed possa essere un facilitatore in caso di ripresa o una stampella in caso di ulteriore rallentamento ma non potrà più essere la determinante principale del destino dei mercati. Il quadro macro è diventato più importante e non sorprenderà nessuno sentirsi dire che la Cina rappresenta a questo punto il più importante ‘focolaiodi monitoraggio’.

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Brexit

Fonte: Deutsche Bank (DE:DBKGn).Un forte rallentamento cinese è un rischio più imminente e più grave di una Trade War o di un no-deal Brexit...

Cina. L’attivismo dei policy-makers cinesi degli ultimi mesi non può essere messo indubbio.A partire dalle misure di supporto monetario più convenzionali (ripetuti tagli alla riserva obbligatoria, copiose iniezioni di liquidità) passando per soluzioni meno ortodosse (ricapitalizzazioni bancarie con incentivi a supportare il canale creditizio verso l’economia reale) fino a tagli fiscali importanti, si è cercato di fornire una rete di protezione e rilancio con una certa costanza. Se questo debba essere un segnale dio conforto oppure di allarme resta una domanda apertae, come tutte quelle che riguardano l’economia dell’ex Impero di Mezzo, assai complicata, con rilevazioni macroeconomiche che sono da sempre discutibili nella loro affidabilità. Quello che va notato è la crescente difficoltà con cui misure di stimolo monetario riescono ad arrivare all’economia reale con una velocità di circolazione dellamonetache, a differenza del passato, è rimasta impassibile di fronte ai tentativi degli ultimi mesi (vedi grafico sotto).Da questo punto di vista la rilevazione e l’analisi delle variabili monetarie sta diventando almeno altrettanto importante di quelle riguardanti lo stato dell’espansione economica propriamente detta. Oggi verrà pubblicato il dato sulla creazioni di nuovi prestiti e sulla crescita della base monetaria (M2). Venerdì sarà il turno di PPI e CPI.

Cina

Mercati Emergenti. E’ stata più volte indicate negli ultimi tempi come l’asset class (nelle sue molteplici articolazioni obbligazionarie e azionarie) da avere assolutamente in portafoglio. Valutazioni più che ragionevoli, dollaro in potenziale indebolimento (secondo le previsioni di molti) e, soprattutto, banche centrali (Fed in primis) molto reattive nel fornire supporto monetario non appena percepito come necessario alla stabilità finanziaria (la predisposizione ormai quasi genetica a privilegiare la stabilità attuale rispetto quella prospettica è probabilmente un buon schema di riferimento da tenere presenteper inquadrare la situazione). Indubbiamente un contesto allettante per questa asset class. L’ospite indesiderato al festino rischia di essere il rallentamento globale. Una crescita economica almeno discreta (in Cina soprattutto) è sempre stata un ingrediente fondamentale, da non sottovalutare neanche in questa occasione, di buone performance di azioni ed obbligazioni emergenti. Nelle ultime due settimane ho ricevuto numerosi report che sottolineavano i copiosi inflows arrivati su questi mercati nella fase di risk-on post natalizia. Nel grafico sotto ho cercato contestualizzare come una partecipazione robusta ed impulsiva degli investitori sisia in passato rivelata più un campanello di allarme (maggiore vulnerabilità futura) che un segnale confortante da seguire ciecamente.

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JPM

Intanto ieri la forza del dollaro si è fatta sentire anche e soprattutto con le valute emergenti, pur in una sessione benigna sul fronte azionario. Gli effetti positivi innescati da Powell (nel discorso del 4 gennaio prima e nel FOMC del 30 gennaio poi) si stanno affievolendo e,con uno spesso consueto contrappasso, proprio la valuta che meglio aveva sfruttato la situazione (lo ZAR) è quella che ora sto soffrendo di più (ha perso quasi il 5% vs USD dai massimi di fine gennaio).

USD

Banche centrali

Fed accomodante...le banche centrali dei paesi emergenti si adattano: rialzi e tagli ora previsti in egual misura...

Earningsrecap. A Wall Street abbiamo ormai oltrepassato la metà del reporting trimestrale.Finora le attese sono state battute da una percentuale abbastanza in linea con la media storica, seppur non entusiasmante (60% per gli utili, 53% per iricavi). Nel frattempo gli analisti stanno rivedendo al ribassole stime per i prossimi trimestri con una certa solerzia. Si aspettano ora un marginale calo (-0.1%) y/y per gli utili del Q1. Sarebbe la prima contrazione dal 2016. Solo 6 settimane fa le aspettative erano per una crescita del 5.3%. Anche per i trimestri successivi le stime sono in calo ma restano per una crescita positiva: +3.6% y/yperil Q2 e +4.3% y/y per l’intero 2019. Questo significa che, grazie anche alrobusto rimbalzo degli indici in questo primo scorcio di 2019, i multipli hanno ripreso notevolmente quota rendendo più vulnerabilii corsi azionari. L’aspetto positivo è invece che man mano che ci avviciniamo alla fina della fase di reporting il supporto al mercato generato dal flusso dei buy-backs dovrebbe tornare a farsi sentire.

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S&P 500

Brexit. Non ci sono particolari novità e il tempo passa. Non è chiaro se e quando ci sarà un secondo ‘meaningul vote’ sull’accordo May (presumibilmente su una versione riveduta dello stesso). Non sarà questa settimana (il 14 sembrava la data prescelta fino a poco tempo fa) e lo slittamento verso fine mese sembra ormai certo. Quello che resta evidente è il dilemma di fronte al quale si trova il Primo Ministro: a) sterzare verso la posizione dei Laburisti (Custom Union) e spaccare il suo partito; b) abbracciare il ‘caos purificatore’ (così descritto recentemente dall’Economist) del no-deal o quantomeno lo spauracchio che la sua minacciarappresenta. Avvicinarsi sempre di più al ciglio del burrone (la scadenza del 29 marzo) nella speranza che si apra una via di uscita è una strategia comprensibile e, dal punto di vista della teoria dei giochi, anche logica. Non per questo meno rischiosa.

Il market mover ‘notturno’ è stata la notizia che un accordo su come evitare un nuovo shutdown (deadline il 15) sia alla portata. Uno sviluppo positivo (durante il fine settimana i tentativi erano risultati infruttuosi) che è valso circa 50bp di recupero sul future dell’S&P 500. Il potenziale accordo vedrebbe una concessione di 1.4 bio USD di fondi per 55 miglia di nuove barriere di confine (5.7 bio eral’importo inizialmente chiesto dalla Casa Bianca) e qualche concessione dei democratici sul tetto al numero di ‘letti di detenzione’ nelle strutture di confine per gli emigranti che vengono arrestatisul suolo statunitense.

Un misto di dati macro (US: CPI domani, vendite al dettaglio giovedì; Cina: bilancia commerciale giovedì, PPI/CPI venerdì), micro (giovedì il giorno più interessante con NVIDIA, Coca-Cola (NYSE:KO), Kraft), banche centrali (RBNZ e Riksbank, entrambe mercoledì) e scadenze politiche (negoziati a Pechino con Lighthizer, Mnuchin e Liu He, scadenza per lo shutdown il 15, deadline per il rapporto sul trade US-EU – articolo 232 -il 17) manterrà viva la nostra attenzione nelle prossime sessioni. Buona giornata.

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Il desk rimane come sempre a disposizione per ulteriori approfondimenti.

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