L’Arabia Saudita ha avuto sei ministri del petrolio in poco più di 60 anni.
Il sesto ha beneficiato immensamente della pandemia di coronavirus che ha portato alla morte del boom del fracking USA e dello spirito competitivo americano, in un’industria dello scisto ormai castrata che fa esattamente quello che vogliono i sauditi.
Il Principe Abdulaziz bin Salman, attuale ministro dell’energia saudita, ama immaginarsi come una “carogna”, che opera una dura giustizia nei confronti degli shortisti che osano far scendere il mercato petrolifero scommettendo su prezzi più bassi del greggio.
La sorprendente decisione di domenica di tagliare un totale di 3,7 milioni di barili al giorno dalla produzione dell’OPEC+ ha visto il principe proprio nella sua classica “modalità carogna”.
Il Wall Street Journal, riflettendo sulla decisione che ha stupito i mercati di tutto il mondo, non solo quelli petroliferi, ha affermato che il ministro dell’energia saudita è sembrato rispettare la sua promessa dell’anno scorso di agire in modo rapido e preventivo nel caso in cui il mercato avesse preso la direzione sbagliata.
Citando persone informate dei fatti, il Journal scrive:
“Il principe Abdulaziz temeva che trader ed hedge fund stessero shortando il petrolio, scommettendo che i prezzi sarebbero scesi, e a quanto pare ha deciso di contrattaccare”.
L’elemento sorpresa è stato evidente. Secondo Bloomberg, nessuno dei 14 trader ed analisti intervistati prima della riunione virtuale dell’OPEC+ di lunedì aveva idea di cosa stesse per succedere. Si aspettavano che non ci sarebbe stato alcun cambiamento al taglio da 2,0 milioni di barili al giorno che l’OPEC aveva annunciato a novembre.
Se la storia di Bloomberg è giusta, il sondaggio è stato influenzato dalle rassicurazioni del principe del mese scorso secondo cui i tagli di novembre sarebbero stati “confermati per il resto dell’anno”.
Già prima della pandemia, Riad sapeva di poter fare affidamento sulla paura dei trader di una stretta sulle scorte per far muovere il mercato come voleva. Tuttavia, nessun ministro era mai stato tanto sfrontato nell’usare la carta della paura negli ultimi tre decenni quanto questo principe.
Nel settembre 2019, poco dopo aver preso il potere, aveva promesso agli orsi del petrolio che avrebbe fatto passare “l’inferno” a chi avesse scommesso contro l’OPEC.
Nascondendo appena il suo disprezzo per chi aveva fatto crollare i prezzi del petrolio del 13% in due settimane, il nuovo ministro dell’energia saudita sembrava già allora più incline a instillare la paura negli short seller piuttosto che rispondere alle loro preoccupazioni circa una domanda debole di energia durante l’emergenza COVID.
Quando gli era stato chiesto quali sarebbero stati i prossimi passi dell’OPEC+ all’epoca, aveva risposto che il cartello avrebbe adottato misure proattive e preventive per sistemare il mercato.
Un articolo di Reuters di ieri afferma che la produzione di greggio statunitense potrebbe salire in conseguenza dei tagli dell’OPEC+, ma solo di 200.000 barili al giorno, pari al 5% del taglio del cartello.
Le compagnie quotate in borsa probabilmente manterranno invariati i livelli di produzione, anche con i future sopra gli 80 dollari al barile. Tuttavia, le compagnie private avrebbero l’incentivo per incrementare l’attività, afferma Mike Oestmann, amministratore delegato di Tall City Exploration.
Reuters ha riportato che gli Stati Uniti hanno estratto quasi 12,5 milioni di barili al giorno a gennaio, in base agli ultimi dati governativi. Ha aggiunto che la produzione nel più grande bacino di scisto USA dovrebbe aumentare di 400.000 barili al giorno quest’anno, circa metà del livello del 2019, citando una stima di Enverus.
Malgrado una simile espansione, la produzione resta ben al di sotto del massimo record di 13,1 milioni di barili al giorno visti nel marzo 2020, poco prima dello scoppio della pandemia. Mettendo in conto tutta la carenza di scorte di greggio al momento (dalle sanzioni alla Russia, ai problemi di produzione dall’Africa al Medio Oriente, e agli enormi tagli dell’OPEC+ annunciati di volta in volta), il mondo potrebbe benissimo fare a meno di 5,0 milioni di barili in più al giorno.
Il settore petrolifero statunitense potrebbe sicuramente estrarre di più, ma sta facendo del suo meglio per non farlo. Dare la priorità ai ritorni agli azionisti sembra essere la scusa popolare, anche se i riacquisti di azioni vanno per la maggiore. La tacita collusione con l’OPEC è al cuore della sfida nel garantire che i prezzi restino alti. Il classico ritornello che si sente è che il governo Biden è contro i combustibili fossili e che nemmeno un centesimo andrebbe destinato a nuovi investimenti sul petrolio.
Ma questo stesso governo ha appena presieduto le più grandi aste sui diritti di trivellazione da anni nel Golfo del Messico. Chevron Corp (NYSE:CVX), Exxon Mobil Corp (NYSE:XOM) e BP (NYSE:BP) sono stati tra i principali compratori. I gruppi ambientalisti Earthjustice e Friends of the Earth hanno criticato aspramente il governo per aver dato la priorità a petrolio e gas rispetto agli obiettivi climatici e alla salute delle comunità della costa del Golfo.
Intanto, il ministro dell’energia saudita brilla per un “traguardo” che, in fondo, è più americano che altro.
Nota: Barani Krishnan utilizza una varietà di opinioni oltre alla sua per apportare diversità alla sua analisi di ogni mercato. Per neutralità, a volte presenta opinioni e variabili di mercato contrarie. Non ha una posizione su nessuna delle materie prime o asset di cui scrive.