Dalle interviste e discorsi dall’ottima tempistica sui media ai tagli alla produzione che stanno operando una stretta sul mercato, il Ministro dell’Energia saudita Khalid al-Falih ha fatto tutto il possibile per far sì che il greggio segnasse la migliore impennata di ripresa da anni. Tuttavia, un’instabile economia cinese potrebbe mandare in fumo la maggior parte del suo duro lavoro.
Quando Falih a dicembre ha annunciato il taglio delle scorte giornaliere di 1,2 milioni di barili al giorno da parte dell’alleanza OPEC+ composta da 25 produttori, si trovava di fronte a due principali rivali: i produttori di scisto USA, che stavano pompando più greggio di quanto fosse necessario, e il Presidente USA Donald Trump, che sembrava preoccuparsi più per i prezzi alla colonnina della benzina con i suoi tweet che dei risultati delle compagnie energetiche USA o delle corporazioni petrolifere nazionali estere e delle loro economie.
Finora, il Ministro per l’Energia saudita è riuscito a contenere entrambi gli avversari e a preservare l’impennata del 25% del greggio di quest’anno.
Il ritornello di Falih secondo cui un eccesso di produzione finirebbe per pesare sul loro stesso settore ha convinto alcuni produttori di scisto ad adottare delle limitazioni che hanno impedito al greggio USA di raggiungere livelli persino più alti.
La sua risposta educata ma decisa a Trump secondo cui l’OPEC non esaudirà la richiesta del presidente di alzare di nuovo la produzione, come era successo nell’estate del 2018, ha fatto capire al mercato che il cartello dei produttori petroliferi ha il controllo dell’equilibrio scorte-domanda stavolta.
Un “avversario” inatteso per l’OPEC: la Cina
Ma quello che Falih forse non aveva messo in conto era un terzo avversario: la traballante economia cinese e i suoi continui problemi nel raggiungere una pace commerciale con gli Stati Uniti.
Le persistenti divergenze tra le due principali economie mondiali stanno pesando non solo sul greggio ma su quasi tutti gli asset legati al rischio, lasciando Riad ed il potere combinato dell’OPEC+ con poche idee su cosa sia necessario fare per spingere ulteriormente l’impennata del greggio, oltre a fare affidamento su eventuali ulteriori tagli della produzione.
L’agenzia di ricerche di New York Energy Intelligence ha riassunto bene la situazione nella sua ultima nota di questa settimana, dicendo:
“L’OPEC dovrà combattere con fattori significativi al di fuori del suo controllo che potrebbero sconvolgere i suoi programmi ben pianificati”.
Con più di 60 anni di gestione del mercato petrolifero dalla sua parte, l’OPEC è in grado di creare un mercato teso, afferma l’agenzia, riportando il contango del greggio USA e del britannico Brent in backwardation, assicurandosi che i tagli alla produzione prosciughino le scorte di milioni di barili conservate sia onshore che su depositi galleggianti in tutto il mondo.
Il contango è una dinamica del mercato delle materie prime in cui il contratto mensile spot viene scambiato ad un prezzo inferiore rispetto al primo mese successivo, causando delle perdite per l’investitore che passa dallo spot ai future con scadenze nei mesi vicini. La situazione di backwardation, il contrario del contango, crea un rendimento positivo in tali spostamenti.
Energy Intelligence ha inoltre notato che la performance giornaliera del greggio ora è spesso dettata dai mercati azionari,
“che a loro volta stanno prendendo ispirazione dalle percezioni sui progressi nelle trattative commerciali tra Stati Uniti e Cina”.
Aggiunge:
“D’altro canto, un improvviso e pronunciato peggioramento del quadro macroeconomico globale potrebbe lasciare il mercato zeppo di scorte facendo rischiare un nuovo aumento delle scorte in esubero”.
La paura di un peggioramento macroeconomico globale trainato dalla Cina - anziché la paura che l’OPEC possa eliminare più greggio del necessario dal mercato - è proprio il motivo che sta impedendo al greggio USA di raggiungere il prossimo obiettivo di 60 dollari al barile ed al Brent il previsto livello di 70 dollari.
Crescita economica cinese al 2% a lungo termine?
Sebbene Pechino abbia in mente degli stimoli per far muovere la sua economia nel corso di quest’anno, la crescita del prodotto interno lordo tra il 6% e il 6,5% che ha previsto per il 2019 sarebbe la più bassa in quasi tre decenni. Peggio ancora, la crescita del PIL potrebbe crollare al 2% nel corso del prossimo decennio, mettendo effettivamente fine al dominio della Cina per i migliori risultati economici globali, spiega Mark Williams, capo economista per l’Asia di Capital Economics.
I long sul greggio affermano che i timori legati alla Cina sono sopravvalutati. Phil Flynn, analista energetico senior dell’agenzia di broker The Price Futures Group a Chicago, spiega:
“Le catastrofi messe in conto dagli orsi hanno superato di gran lunga la realtà del rallentamento in Cina ed hanno sottovalutato la promessa della Cina di tagliare le tasse e fare il possibile per far continuare a lavorare i cinesi”.
Per il momento, sembra che la strategia dell’OPEC+ consista nel tagliarsi fuori da qualsiasi rallentamento del mercato, con i sauditi in particolare che stanno riducendo le scorte più di quanto previsto dall’accordo di dicembre e stanno esortando gli altri alleati, specialmente la Russia, a fare lo stesso. Goldman Sachs ha scritto in una nota di questa settimana che il gruppo di produttori probabilmente avrà un’ottima scheda di valutazione di cui vantarsi quando si rincontrerà ad aprile per rivedere il rispetto dei tagli.
Nuovi timori per le scorte dovuti allo scisto incombono sull’OPEC
Tuttavia, malgrado gli sforzi per prosciugare il mercato, Falih e gli altri ministri del petrolio dell’OPEC+ si ritrovano a dover affrontare nuove sfide da supercolossi come Chevron (NYSE:CVX) ed Exxon Mobil (NYSE:XOM), che ieri hanno annunciato l’intenzione di produrre quasi un milione di barili al giorno di petrolio da scisto ciascuno nel bacino Permiano, uno dei più prolifici degli Stati Uniti.
Tali previsioni spingono a chiedersi quanto ancora i sauditi potrebbero dover tagliare in futuro per bilanciare il mercato quando la domanda deluderà le aspettative.
E va aggiungersi a questo clima cupo la notizia di lunedì dell’American Petroleum Institute secondo cui le scorte di greggio USA sono aumentate di 7,3 milioni di barili la scorsa settimana, molto di più degli 1,2 milioni previsti dal mercato.
Se fosse vero, basterebbe quasi a neutralizzare l’impatto positivo dei quasi 9 milioni di barili eliminati nella settimana precedente. La U.S. Energy Information Administration riporterà martedì i dati ufficiali sulle scorte e la domanda relativi alla scorsa settimana.