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Quando si fermerà la crescita dei tassi? E quanto a lungo rimarranno alti?

Pubblicato 17.03.2023, 08:45
Aggiornato 09.07.2023, 12:32
 Ieri le richieste settimanali USA dei sussidi alla disoccupazione sono risultate inferiori alle attese (192k contro 205k stimato) e in flessione rispetto alla scorsa settimana, pari a 212k. Peggio delle aspettative è risultato in PhillyFed di marzo (-23,2 punti contro -15,6 atteso), ma leggermente meglio del dato di febbraio (-24,3 punti).
 
Nulla che non fosse nelle attese dalla BCE, che ha alzato i tre tassi di interesse di riferimento di 50 bp, al fine di assicurare un veloce ritorno dell’inflazione al 2%. Con effetto 22 marzo i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale saranno quindi alzati al 3,5%, al 3,75% e al 3% rispettivamente. Nel comunicato stampa, così come ci aspettavamo, la BCE ha voluto confermare il proprio approccio flessibile, dichiarando che le future decisioni di politica monetaria saranno funzione della valutazione delle prospettive di inflazione desunte dai dati che via via saranno resi noti.
 
La BCE non ha mancato di fare accenno all’attuale crisi bancaria, dicendo di stare attentamente monitorando le tensioni in atto sui mercati. Nel confermare che al momento non esiste una crisi di liquidità in Europa, ha inoltre ricordato che il settore bancario dell’area dell’euro è dotato di una buona capacità di tenuta con solide posizioni di capitale e liquidità. Tuttavia qualora la crisi dovesse aggravarsi e interessare l’Eurozona, la BCE dispone comunque di tutti gli strumenti necessari per fornire liquidità a sostegno del sistema finanziario al fine di preservare l’ordinata trasmissione della politica monetaria.
 
Ieri erano inoltre attese le revisioni delle stime economiche. Secondo le nuove stime della Bce l'inflazione scenderebbe in media al 5,3% nel 2023 e si ridurrebbe ulteriormente nel 2024 e 2025 al 2,9% e al 2,1% rispettivamente, pur rimanendo intense le pressioni di fondo sui prezzi. L'inflazione core è stimata raggiungere in media il 4,6% nel 2023 (livello più elevato di quello anticipato nelle proiezioni di dicembre). In seguito questa è attesa ridursi al 2,5% nel 2024 e al 2,2% nel 2025, in concomitanza con il ridursi delle spinte al rialzo dovute agli shock sul lato dell'offerta, grazie alla riapertura delle attività economiche e al manifestarsi degli effetti che la politica monetaria restrittiva è attesa avere sui consumi. Rispetto alla previsione di dicembre, la BCE si attende una crescita del PIL dell'eurozona dell'1% nel 2023 (+0,5% a dicembre) e dell'1,6% per il 2024 (+1,9% a dicembre).
 
La BCE è convinta che nei prossimi mesi la crescita dei prezzi possa frenare e arrivare, come abbiamo visto al 5,3% in media per la fine del 2023. Non siamo tuttavia così sicuri che la frenata sarà così convincente. Probabilmente dovremo aspettare il 2024 per vedere qualcosa di più concreto. E questo per diversi motivi, tra i quali:
•           la resistenza alla discesa dell’inflazione core (e infatti le stime della BCE su questa sono in aumento), che sta a significare come la crescita dei prezzi sia ormai infiltrata in gran parte dei settori produttivi e dei servizi;
•           l’effetto di “sostituzione” dei fornitori cinesi con fornitori di altre zone del mondo, tra le quali Europa e America che ha fatto crescere i prezzi. La fase di sostituzione non si sta rivelando rapida nè tantomeno indolore e, una volta terminata i prezzi rimarranno probabilmente più alti ma non detto che crescano della misura attesa dalla BCE, soprattutto se riprende la domanda;
•           le politiche fiscali di sostengo al caro energia, che stanno lavorando in modo contrario alla politica fiscale, sostenendo per questa via l’inflazione;
•           in passato è stato relativamente semplice far scendere l’inflazione dai livelli molto elevati a livelli più contenuti. Molto più complesso è stato invece fare l’ultimo miglio (per esempio dal 3% al 2%).
 
Storicamente quando l’inflazione è cresciuta così tanto come è avvenuto nelle economie avanzate negli ultimi mesi, sono stati necessari diversi anni perché potesse ritornare a livelli accettabili. In un recente report Merryl Lynch ha analizzato quanto tempo è stato necessario negli ultimi quarant’anni perché l’inflazione tornasse al 2% dopo aver superato un livello del 5%. La risposta è stata 10 anni.
 
I mercati stanno però scommettendo in una rapidissima disinflazione, mai avvenuta nella storia economica recente e soprattutto senza che si verificasse una profonda fase di recessione. Ma c’è sempre una prima volta. L’incertezza però continua. E non potrebbe essere altrimenti con una guerra in corso e con il sistema bancario di una delle più grandi economie del pianeta con una regolamentazione a maglie larghe. Per i mercati Europei, che sono sempre BCE dipendenti, diventa quindi cruciale chiedersi dove andranno a finire i tassi di interesse nel 2023?
 
L’aumento dei tassi potrebbe infatti fermarsi al 4%, livello che rappresenterebbe una sorta di compromesso tra la necessità di ridurre la corsa dei prezzi e portare il sistema economica verso un soft landing. Ma potrebbe anche raggiungere livelli più elevati e compatibili con il “portare l’inflazione rapidamente all’obiettivo del 2%”. Soprattutto se la crescita dei prezzi in Europa dovesse superare nel corso del 2023 il 6% in media e rimanere stabilmente sopra di quella degli USA. Occorrerà pero fare i conti con la crisi del sistema bancario d’oltre oceano.
 
Sempre meno chiara appare anche la durata dello squilibrio economico per riportare l’inflazione al livello obiettivo e quale sarà il tasso reale compatibile con una crescita economica sostenibile nel lungo periodo. Ovviamene questo aspetto è fondamentale per cercare di capire le performance dei mercati finanziari nei prossimi mesi.
 
Rimaniamo convinti che il 2023 possa portare interessanti opportunità di investimento. Per esempio in tutte quelle società il cui prezzo già scontano la contrazione registrata dai rispettivi settori di appartenenza. Nell’incertezza è comunque possibile individuare società nelle aree tecnologiche, dei consumi e industriali che stanno già scontando un rallentamento significativo. Ai livelli attuali di prezzo, una buona parte di titoli di questi settori crediamo offra un rischio/rendimento interessante.
 
Nella crescente incertezza, di una cosa siamo ci sentiamo confidenti: il prossimo decennio di leadership del mercato azionario sarà probabilmente molto diversa da quanto visto recentemente: il picco della globalizzazione, l’onshoring e i crescenti rischi geopolitici stanno creando cambiamenti strutturali significativi all’interno dell’economia Europea e questo contribuirà a tenere mediamente più elevati i tassi di interesse e l’inflazione rispetto agli ultimi 10 anni. La maggiore consapevolezza della disruption tecnologica, che ha costituito uno dei maggiori talloni d’Achille delle aziende value negli ultimi dieci anni, contribuirà probabilmente a sostenerne gli utili. Questi cambiamenti avvantaggeranno le società con flussi di cassa a breve termine.
 
 
 
 

Ultimi commenti

scusi ma storicamente, l'inflazione è salita per altri motivi
Articolo composto da un copia incolla di uno vecchio.
quando nelle banche non ci saranno più i risparmi degli italiani....
a fatto bene ad alzare i tassi poi se scappano non li riprendi più e l'inflazione non si ferma.
Certo
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