Dopo la FED, il 27 ottobre prossimo sarà il turno della BCE, in cui i tassi verranno probabilmente alzati di altri 75 bp. Prima di allora, il 5 ottobre, ci sarà il meeting di politica monetaria del Governing Council, in cui sicuramente verranno fornite alcune linee di tendenza. Stando a quanto sostenuto dalla Lagarde in occasione dell’ultimo meeting (8 settembre), ci aspettano altri aumenti la cui entità sarà decisa sulla base dei dati, visto che la BCE non ha idea di quale possa essere il tasso neutrale, ovvero quello in grado di assicurare una crescita stabile del PIL a piena capacità. Va detto comunque che tale tasso non può essere precisamente individuato finché non è stato raggiunto e quindi non può essere dichiarato in anticipo. Dall’altra parte però una banca centrale dovrebbe anticipare ai mercati almeno il range entro il quale tale tasso dovrebbe cadere, stile Sveriges Riksbank per intenderci.
Le stime di crescita del PIL che la BCE ha formulato e che si troverà di fronte indicano, secondo una crescita del 3,1% per il 2022 (2,8% la stima precedente) e dello 0,9% per il 2023 (dal 2,1%) e dell’1,9% per il 2024 (dal 2,1%). Per contro, l’inflazione media attesa è stata rivista al rialzo: 8,1% (dal 6,8%) nel 2022, 5,5% (dal 3,5%) nel 2023 e 2,3% (dal 2,1%) nel 2024. Non è un buon segnale per i mercati continuare a diminuire le stime di crescita economica e continuare ad alzare quelle dell’inflazione. La Lagarde ha provato a rassicurare i mercati sostenendo che una recessione è prevedibile nel 2023 solo con il completo stop alla fornitura di gas Russo (anche l’inflazione era temporanea).
Non siamo d’accordo con la BCE e riteniamo che nel 2023 l’Europa scivolerà verso la recessione e anche piuttosto pesante, quale effetto dell’agire congiunto dell’aumento dei tassi e della flessione dei consumi dovuta al minore reddito reale disponibile “mangiato” dall’inflazione. Il motivo è, se vogliamo, semplice. Il Consiglio Direttivo ha più volte dichiarato di essere pronto ad utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per assicurare che l’inflazione si stabilizzi intorno all’obiettivo del 2%. Allo stesso tempo però stima che questo sia possibile solo nel 2024. Ergo, a bocce ferme, i tassi continueranno a crescere per gran parte del 2023 e rimarranno elevati per buona parte del 2024.
Quello che potrebbe far cambiare idea alla BCE sui tassi, è una flessione dell’inflazione maggiore delle attese. Flessione che potrebbe avvenire solo con una forte contrazione dei consumi e degli investimenti e per questa via del PIL. Quindi recessione. Esisterebbe (usiamo il condizionale non a caso) un’altra possibilità, ed è quella che vede il prezzo del gas ritornare entro gennaio prossimo al disotto di 50 euro al MWh.
Tra l’altro, come noto, per almeno metà dell’inflazione, la BCE nulla può fare perché deriva da un aumento dei costi, energia in testa. E’ quindi sempre più pressante l’esigenza di una forte coesione politica tra gli stati membri che riporti sotto controllo il prezzo del gas e a cascata dell’energia elettrica. Ma nonostante le dichiarazioni di intenti, i governi europei hanno posizioni ancora molto distanti.
Se non riportiamo il prezzo dell’energia sotto controllo, l’inflazione non è destinata a scendere in modo significativo e quindi la politica monetaria è destinata a rimanere restrittiva schiacciando la ripresa del PIL. Detto in altre parole, più tempo si aspetta a ridurre il costo dell’energia più lunga e profonda sarà la recessione.
Non cambia la nostra strategia, che prevede innanzitutto la verifica di alcune condizioni prima di comprare (vedi W. Buffett). Queste sono: i manager devono aver gestito razionalmente i soldi degli azionisti, l’impresa e i managers devono aver realmente aumentato nel tempo i guadagni degli azionisti, al momento dell’acquisto il prezzo deve essere almeno inferiore del 25% al valore intrinseco, i manager devono essere in grado di convertire le vendite in profitti, l’impresa deve evitare l’eccesso di debito, e deve mantenere nel tempo un ROE superiore a quello medio del proprio settore.