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Trump potrebbe giocarsi la carta dell’Iran se il greggio supererà i 70 dollari?

Pubblicato 05.04.2019, 13:09
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Prima, l’Arabia Saudita ha messo a rischio la sua partecipazione di mercato del greggio. Ora sta minacciando di mettere a repentaglio i decenni di relazione con gli Stati Uniti solo per poter vendere il greggio al prezzo che desidera.

La domanda è: cosa farà Donald Trump in risposta?

Mentre si intensifica lo scontro per avere il controllo dei prezzi del greggio globali, sia il presidente USA che i suoi alleati del regno, tra cui l’apparentemente spietato erede al trono, il principe Mohammed bin Salman, hanno alzato la posta a livelli senza precedenti nei 75 anni di storia della diplomazia tra le loro nazioni.

Una notizia di Reuters di questa mattina indica che Riad ha alzato la posta nella resa dei conti con Washington, minacciando di vendere il suo greggio in valute diverse dal dollaro se Washington dovesse approvare la legge che espone i membri dell’OPEC alle norme antitrust USA.

La decisione rappresenta una risposta al NOPEC (No Oil Producing and Exporting Cartels Act), la norma che alcuni membri del Congresso USA desiderano che Trump usi contro l’OPEC, guidata dai sauditi.

L’OPEC ed altri 10 produttori petroliferi (con a capo la Russia) stanno riducendo la produzione dall’inizio dell’anno, ripristinando la maggior parte del tonfo del prezzo del 40% che i riferimenti globali (WTI e Brent) hanno subìto durante il crollo del mercato petrolifero del 2018. I future della benzina sono schizzati persino di più, quasi del 50%, causando un’impennata dei prezzi alla colonnina che potrebbe presto pesare sulle tasche degli americani proprio mentre Trump si prepara alla nuova campagna elettorale.

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Secondo Reuters, che cita fonti vicine alla politica energetica saudita, le probabilità che i sauditi scartino il dollaro per gli scambi di greggio sono tanto basse quanto quelle che gli Stati Uniti usino il NOPEC per regolare le scorte di greggio globali ed ottenere il prezzo al barile adatto alla loro economia.

Il gioco d’azzardo dei sauditi

Ma le recenti mosse rivelano il danno che l’Arabia Saudita intende fare se il governo Trump cercasse uno scontro: minare il dollaro come valuta di riserva, abbandonare l’ancoraggio del riyal al biglietto verde, ridurre l’influenza di Washington sui commerci globali, indebolire la capacità degli Stati Uniti di imporre sanzioni su altri stati ed eliminare circa mille miliardi di investimenti sauditi negli Stati Uniti.

Dimostrano anche quanto disperatamente Riad abbia bisogno che il greggio torni a circa 80 dollari al barile o più (ricordiamo che il riferimento globale Brent ha superato i 70 dollari temporaneamente ieri prima di riscendere), in modo che il regno possa finanziare il suo bilancio annuo e continuare a garantire sia ai reali che ai sudditi quello stile di vita che altre nazioni possono solo sognare.

La posta in gioco sul greggio per l’Arabia Saudita è anche la più alta dall’inizio dei legami diplomatici con gli Stati Uniti nel 1933. Dopo anni di pianificazione e titubanze, il paese è ora pronto alla vendita pubblica di azioni della sua compagnia petrolifera nazionale da 356 miliardi di dollari l’anno, Saudi Aramco. Un mercato del greggio forte è importantissimo per questa IPO.

Come abbiamo detto, gli aggressivi tagli della produzione da parte dei sauditi potrebbero costargli la partecipazione di mercato per il loro greggio Arab Light in Corea del Sud, India ed altre regioni asiatiche, con il petrolio da scisto USA che si affretterà a colmare il vuoto. Le esportazioni petrolifere statunitensi hanno raggiunto il massimo storico di 3,6 milioni di barili al giorno a marzo e dovrebbero vedere una crescita esplosiva nel 2025, quando si prevede che gli Stati Uniti producano di più dell’Arabia Saudita e della Russia messe insieme. Riad finora ha fatto buon viso a cattivo gioco.

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Ma, tornando alla domanda centrale: come potrebbe reagire Trump ad un’impennata ininterrotta del greggio?

I tweet sul greggio di Trump non funzionano

Il greggio ad oltre 70 dollari al barile, per non parlare di 80 dollari, probabilmente innescherà una serie di reazioni da parte del presidente.

Mentre i sauditi sembrano aver vinto il secondo round delle “minacce su Twitter”, con gli hedge fund che hanno concesso solo pochi centesimi al prezzo invariato del greggio dopo l’ultima raffica di avvertimenti di Trump all’OPEC un paio di settimane fa, ci sono prove del fatto che il presidente tende a ricorrere ad azioni bizzarre quando si ritrova con le spalle al muro.

Secondo alcune previsioni, Trump sarebbe intenzionato a vendere - o comunque a minacciare di liberarsene - il greggio delle riserve petrolifere strategiche USA per far riscendere il mercato. Pochi, comunque, credono che correrà un simile rischio con le scorte di emergenza.

La teoria più popolare è che il presidente conceda un’altra serie di generose esenzioni agli acquirenti del greggio iraniano sanzionato quando i permessi per l’esportazione scadranno a maggio. Il suo governo parla di “azzerare” le esportazioni di greggio iraniano, ma non ci crede nessuno.

Il Presidente potrebbe avere un asso nella manica sull’Iran da giocare?

Tuttavia, Trump potrebbe fare ben altro. Potrebbe fare affidamento all’asso nella manica definitivo suggerendo che gli Stati Uniti hanno intenzione di aprire le trattative con l’Iran se Tehran desidera evitare un’ulteriore crisi economica per il suo programma nucleare. La sola idea di un accordo 2.0 USA-Iran sul nucleare ridarebbe a Tehran la libertà di esportare il suo greggio, sebbene anche con alcune restrizioni possa far scendere il prezzo della materia prima di circa 5-10 dollari al barile.

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Tuttavia, ci sono molti motivi per cui un tale accordo potrebbe non realizzarsi. Gli aspetti negativi comprendono la poca simpatia nei confronti di Trump da parte del Presidente iraniano Hassan Rouhani, rispetto al suo predecessore Barack Obama, nonché le proteste da Israele. Per la politica mediorientale statunitense è stata centrale la sua storica relazione con l’Arabia Saudita ed Israele per equilibrare le ambizioni dell’Iran nella regione.

Tuttavia, trattandosi di Trump, potrebbe proporre delle trattative all’Iran solo per piantare il seme della paura tra gli hedge fund che ora sembrano intenzionati a riportare il greggio ai massimi precedenti al crollo dell’ottobre 2018.

Nessuno si aspettava che Trump si sedesse al tavolo dei negoziati con Kim Jong-un dopo un anno di scontri, anche se il summit con il leader nordcoreano non ha portato Washington nemmeno lontanamente vicino all’obiettivo del disarmo nucleare di Pyongyang. Per la cronaca, finora Trump ha giocato la carta cinese con lui nelle trattative commerciali.

Un’offerta di trattativa con gli iraniani non danneggerebbe Trump, soprattutto se Tehran si entusiasmerà per l’idea. Dopotutto, Obama aveva fatto lo stesso.

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