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Un volatile ottovolante

Pubblicato 30.10.2018, 10:06
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Martedì 30 Ottobre

Hedgeye

  • Ancora una volta oscillazioni molto violente sui mercati azionari hanno rappresentato la caratteristica principale di una sessione ricca di spunti. La chiusura di Wall Street, ormai costantemente più significativa di quella europea che arriva sempre a metà del guado, non rende giustizia all’ottovolante selvaggio che ha portato gli indici americani a un guadagno iniziale di quasi il 2% (con apertura in gap rialzista di 1%) prima di un crollo repentino e verticale di circa il 4% e un rimbalzo finale che ha portato in dote una chiusura in rosso ma non troppo tragica (S&P 500 -0.7%, Nasdaq -1.6%). Rimbalzo che ha trovato ulteriore conforto nella sessione asiatica che si va concludendo.

S&P

  • Attacco UK ai giganti della tecnologia: la Digital Services Tax. Quando ieri il Cancelliere Hammond ha presentato il budget inglese, l’attenzione degli osservatori era presumibilmente incentrata sulle potenziali conseguenze per gli asset britannici, sterlina e Gilt. Le misure fiscali annunciate contenevano però una polpetta avvelenata per i mercati globali: l’intenzione di meglio calibrare l’imposizione fiscale nei confronti dei giganti della tecnologia (Amazon (NASDAQ:AMZN), Google (NASDAQ:GOOGL), Netflix sembrano i modelli più a rischio). Per il Tesoro inglese tutte le società in utile con almeno 500 mio GBP di ricavi globali il cui “modello di business digitale” genera un fatturato grazie alla partecipazione di utilizzatori inglesi, sono destinati a vedere i ricavi in questione tassati al 2%. Se in futuro emergerà una soluzione globale per affrontare questo tema la politica fiscale UK si adatterà ma intanto è stata espressa la ferma intenzione di prendere l’iniziativa con una tassazione che diventerà effettiva nell’Aprile 2020 e porterà nei forzieri inglesi più di 400 mio GBP l’anno. Non sembra un numero così rilevante ma in questa fase una notizia simile non poteva che peggiorare ulteriormente il tono già fragile di questo settore del mercato anche perché può rappresentare l’avvisaglia di una determinazione ben più globale a tassare un certo tipo di reddito aziendale che è sempre rimasto sfuggente in questi anni a beneficio delle corporation. Gli effetti su alcuni nomi sono stati evidenti: Amazon -6.3%, Google -4.5%, Netflix -5.0%, Microsoft (NASDAQ:MSFT), -2.9%, Facebook (NASDAQ:FB), -2.3%.
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  • Trade war. Rimango scettico sul fatto che le evoluzioni di questo tema possano rappresentare una causa strutturale dei ribassi in corso ma è indubbio che le notizie riguardanti dazi e tariffe siano dei market mover importanti almeno intraday. Ieri proprio l’indiscrezione sulla disponibilità cinese a dimezzare l’imposizione sulle importazioni di autoveicoli aveva innescato i rialzi (CHINA REGULATOR IS SAID TO PROPOSE 50% CUT TO CAR PURCHASE TAX, con l’automotive europeo a fare da traino). Nel pomeriggio però, con i compratori già fiaccati dal budget UK, ulteriore benzina sul fuoco ribassista è stata gettata dalla notizia secondo cui l’amministrazione Americana si starebbe preparando ad annunciare (inizio dicembre) l’ennesima (e ultima) ondata di imposizione tariffaria su tutte le importazioni cinesi rimaste finora indenni (257 bio USD, con molti beni di largo consumo coinvolti) se i (potenziali) colloqui di fine novembre tra Trump e Xi non daranno i risultati sperati. Dopo l’ormai consueto peridio di ‘commento pubblico’ della durata di 60 giorni, l’effettiva imposizione potrebbe arrivare in tempo per capodanno cinese nel febbraio 2019 (e nel frattempo, a partire dal 1 gennaio, salirebbero dal 10% al 25% i dazi sui 250 bio recentemente annunciati). Il piano appare principalmente una tattica negoziale per mettere pressione a Pechino in vista di un probabile incontro tra I due comandanti supremi nel G20 di Buenos Aires ma è altrettanto chiaro come questo modus operandi renda meno probabile un clima negoziale costruttivo conoscendo l’allergia cinese ad essere messi con le spalle al muro.

Tariffs

Stoxx Auto

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  • Angela Merkel. Secondo la stampa tedesca è ormai praticamente ufficiale la rinuncia del leader tedesco a ri-candidarsi a capo del suo partito (carica ricoperta negli ultimi 18 anni) in occasione del congresso CDU-CSU previsto in dicembre. Il mercato ha reagito in maniera ambigua, combattuto tra un evoluzione politica (compresi i risultati delle elezioni in Assia, con la conferma dei Verdi come forza ormai imprescindibile a sinistra, che vede un centro più frammentato ma nessun progresso di forze radicali) potenzialmente positiva in ottica di integrazione europea, e l’incertezza che l’uscita di scena di una figura ingombrante come quella dell’attuale Cancelliere potrebbe rappresentare. L’interpretazione positiva è quella che sembra aver guidato (oltre ad aver evitato brutte sorprese a livello di rating con la semplice revisione di outlook da parte di S&P) la buona performance del BTP il cui spread (10Y) è ora sceso sotto quota 300bp proprio quando in molti vedevano quota 400bp come ineluttabile. Sarebbe intanto confermata l’intenzione della Merkel di rimanere Cancelliere (Primo Ministro) anche se questo non può essere dato per scontato nel momento in cui negli ultimi anni il leader tedesco è sempre stata molto chiaro nel sostenere la necessità che le due posizioni (leader di partito e Cancelliere) venissero ricoperte dalla stessa persona. Probabilmente molto dipenderà da chi ne raccoglierà lo scettro di capo della CDU. Se fosse Friedrich Merz, lo storico capogruppo parlamentare di recente sostituito su disegno di Angela, le probabilità di un abbandono della guida del paese diventerebbero più elevate così come una svolta politica in direzione più conservatrice, con il supporto di Schauble. I principali concorrenti sono Annegret Kramp-Karrenbauer, l’attuale segretario di partito e la scelta preferita della Merkel, e Jens Spahn, attuale ministro della sanità, anche lui un oppositore di Angela e critico delle politiche favorevoli ai rifugiati. Altri nomi che potrebbero emergere: Ralph Brinkhaus (il nuovo capogruppo parlamentare), Daniel Günther (presidente della regione dello Schleswig-Holstein) o Armin Laschet (presidente della regioen del RenoSettentrionale-Westfalia).
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CDU Chefs

Euro

Emergenti resilienti ma Messico in difficoltà. Le valute emergenti hanno sopportato con grande compostezza l’ottobre nero dei mercati azionari. L’eccezione idiosincratica non viene però quasi mai a mancare. Questa volta è stato il caso del Messico che in questi 10 mesi era stato una specie di oasi intoccabile anche nei momenti più complicati di questa asset class. Il referendum con cui i (pochi) messicani che hanno votato hanno deciso di cancellare un progetto già avviato da 13 bio USD per la costruzione di un nuovo aeroporto nella periferia di Città del Messico non ha implicazioni legali ma verrà sicuramente seguito dal neo-presidente AMLO dal momento che la sua intenzione di seguire la volontà popolare sul tema era stata esplicita in campagna elettorale. Il contraccolpo può essere in realtà più esteso e compromettere più generalmente la fiducia degli investitori esteri. L’apertura del Messico agli investimenti stranieri, soprattutto nel mondo dell’estrazione petrolifera, era stata uno dei cardini delle precedenti amministrazioni e di una certa compressione del premio al rischio per gli asset messicani. Mentre il Presidente ha già dichiarato, sia in campagna elettorale sia recentemente, di voler rispettare i contratti in essere, analisti e investitori inizieranno a domandarsi se il populismo di AMLO non passerà necessariamente per una maggiore chiusura al capitale estero. Ieri il peso messicano ha perso ulteriore terreno, quasi il 4% più debole ora rispetto alla chiusura di venerdì.

MXN

  • Il parziale recupero nell’ultima ora di trading di Wall Street si è irrobustito durante la sessione asiatica (future S&P 500 +0.7%). In molti hanno indicato come un intervista di Trump a Fox News come il catalizzatore positivo. Il Presidente ha parlato della volontà di raggiungere un “grande accordo” con la Cina e, pur precisando che secondo lui la Cina non è ancora pronta, questo ha calmierato i timori innescatisi nel pomeriggio di ieri. Nel bene e nel male non darei troppo peso a queste esternazioni verbali di una Casa Bianca assolutamente proiettata verso le elezioni di metà mandato che bussano alla porta (-8 giorni). Forse più significativa per il recupero asiatico (Nikkei +1.4%, Shanghai Comp 1.0%) la notizia (FT, Reuters https://uk.reuters.com/article/china-marketregulator/chinas-securities-regulator-to-enhance-market-liquidity-encourage-sharebuybacks-idUKB9N1X2024) secondo cui il regolatore cinese starebbe incoraggiando il riacquisto di azioni proprie da parte delle società. Oppure più preoccupante (la proattività e il costante attivismo dei policy-maker cinesi), dipende dai punti di vista.
  • Effetto fine mese. Oggi e soprattutto domani potrebbe esserci sulle valute un effetto di calendario per il ribilanciamento delle coperture dei portafogli, solitamente destinato a diventare più significativo proporzionalmente al movimento mensile degli indici azionari. Un mese di forti perdite azionarie, come quello che si sta concludendo, porta con se acquisti di dollari. I portafogli globali che hanno un’esposizione a Wall Street coperta (hanno venduto USD come hedge) vedranno, con la perdita di capitalizzazione accusata dai titoli, la loro copertura come sovradimensionata e dovranno ridurla, comperando dollari. Un flusso molto più significativo rispetto a quello opposto degli americani che devono comperare euro o yen per ridurre l’hedge sulle loro esposizioni straniere, ovviamente meno importanti rispetto alla presenza dell’azionario a stelle e strisce negli investimenti di tutto il pianeta. Per il resto l’agenda macro è leggera (occupazione tedesca, CPI finali in Europa) e in ogni caso non il focus attuale del mercato. Buona giornata.
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JCI

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