Sicuramente non sono i giorni eccitanti dello slogan “Drill baby, drill!”, che invitava a trivellare a tutta forza. Tuttavia, la produzione petrolifera USA sta aumentando, anche se lentamente, ma sicuramente per la ripresa del prezzo delle ultime due settimane.
E questa è la cosa peggiore che sarebbe potuta succedere per lo stato di salute a lungo termine dell’industria dello scisto.
Tonfi gravi e prolungati del prezzo non sono una novità per il greggio. Ma mai prima d’ora avevano comportato un doppio colpo di shock simultanei per le scorte e la domanda che hanno brutalizzato il mercato ad un livello mai visto.
Le serrate dovute alla pandemia negli ultimi due mesi non solo hanno cancellato una domanda di greggio ad un livello pari quasi a quello di un decennio. Ma hanno anche sovvertito i mercati in modi disparati, con dislocazioni regionali ed una distruzione della domanda irregolare tra i prodotti che hanno aperto la strada ad una ripresa confusionaria e frammentata, secondo quanto fa notare la Energy Intelligence di New York in un articolo sul blog della scorsa settimana.
Necessarie risposte giorno per giorno
L’amministratore delegato di Royal Dutch Shell (NYSE:RDSa) Ben van Beurden ha fatto inoltre notare che le attuali dinamiche del greggio comportano “un livello di incertezza che non si può modellare con gli scenari” e le risposte sulle scorte e sul trading vanno prese “giorno per giorno”.
Da qui si origina il dibattito circa la ripresa dei prezzi a cui stiamo assistendo. A parte il calo relativamente modesto di ieri di meno del 2,5%, il greggio di riferimento USA, il West Texas Intermediate, ha registrato rialzi fenomenali ultimamente: +25% la scorsa settimana, +17% in quella prima ed un totale di +100% dai minimi di 11 giorni fa. E la produzione sta aumentando di conseguenza.
Grafico giornaliero future WTI
I pozzi chiusi nella regione del Bacino Permiano nel Midland cominciano a vedere delle riaperture, ha riferito durante una conference call di ieri Mackie McCrea, direttore commerciale del colosso degli oleodotti Energy Transfer (NYSE:ET).
“Circa l’8% dei volumi di greggio che alimentavano la rete di oleodotti di Energy nel Midland sono stati fermati all’inizio del mese”, riporta Bloomberg. All’inizio di questa settimana, si è registrato un ritorno di quasi il 25%, afferma McCrea.
Alcuni trivellatori USA sembrano pronti ad abbandonare i tagli
La notizia di un aumento della produzione nel bacino Permiano arriva appena una settimana dopo che Diamondback Energy (NASDAQ:FANG) e Parsley Energy (NYSE:PE), due importanti produttori di scisto hanno reso noto che tutto ciò che gli serve è un prezzo di 30 dollari al barile per prendere in considerazione l’idea di allentare le riduzioni sulla produzione e cominciare a trivellare nuovi pozzi. Il WTI è scambiato sotto i 25 dollari ora, mentre il Brent a Londra, il riferimento globale per il greggio, si aggira intorno ai 30 dollari.
Grafico giornaliero future Brent
Diamondback aveva inizialmente promesso di ridurre la produzione di questo mese tra il 10% e il 15% e di mandare a casa la maggior parte dei suoi dipendenti dell’attività di fracking per l’intero trimestre. La compagnia con sede a Midland, Texas, prevede di chiudere l’anno con più di 150 pozzi trivellati ma mai attivati per il fracking, in quanto i produttori USA stanno evitando di pompare greggio su un mercato altamente in esubero. Parsley Energy, nel frattempo, ha diminuito di un quarto la sua produzione ed ha abbandonato temporaneamente il suo programma da cinque impianti e due team per il fracking.
Un passo indietro rispetto a quanto promesso potrebbe minare la parola data dal Presidente Donald Trump circa il fatto che gli Stati Uniti saranno appoggiati da Arabia Saudita e Russia per eliminare almeno 9,7 milioni di barili al giorno dal mercato globale a partire dal 1° maggio. Trump ha indicato che gli Stati Uniti si faranno carico di circa 2 milioni di barili al giorno.
Non tutti i trivellatori di scisto stanno riaprendo i rubinetti. Continental Resources (NYSE:CLR) e Callon Petroleum (NYSE:CPE) manterranno le riduzioni promesse. L’agenzia di consulenza sul rischio con sede a Oslo Rystad Energy ha dichiarato che i trivellatori USA, nel complesso, intendono effettuare più di 600.000 barili al giorno di tagli fino a fine giugno.
Da parte loro, i sauditi difficilmente supereranno di molto la quota originale di tagli promessa da Riad. Il regno ha alzato il prezzo di vendita ufficiale del suo greggio Arab light la scorsa settimana, e il Ministro dell’Energia Abdulaziz bin Salman ieri ha reso noto che un altro milione di barili al giorno sarà eliminato a giugno, portando la produzione totale a 7,5 milioni di barili al giorno, con un calo di quasi il 40% rispetto ad aprile.
Una vecchia storia ormai familiare: quello che eliminano i sauditi, viene prodotto dagli USA
Ma se Diamondback e Parsley finiranno per influenzare molti altri trivellatori USA con le loro azioni, ed i prezzi USA continueranno a salire verso i 30 dollari al barile, allora i tagli cruciali per riequilibrare le scorte mondiali saranno ulteriormente compromessi. E torniamo ad una vecchia storia ormai familiare per il greggio: quello che eliminano i sauditi, gli USA lo producono e lo rimettono sul mercato.
La situazione è abbastanza preoccupante per Goldman Sachs che ha pubblicato un avvertimento per i suoi clienti prima della chiusura dei mercati venerdì, affermando:
“Sebbene gli investitori siano modestamente meno negativi sulla domanda, il rialzo del Brent a quasi 30 dollari al barile e del WTI a quasi 25 dollari al barile sta alimentando i timori che potremmo stare sacrificando un aumento dei prezzi in futuro per i livelli di prezzo attuali, il che potrebbe risultare in un’inversione di rotta delle chiusure dei pozzi che potrebbe avvenire prima di quanto desiderato”.
L’agenzia di Wall Street aggiunge:
“E questo continua a mantenere gli specialisti sconcertati, soprattutto per quanto riguarda compagnie con bilanci più deboli, comprese quelle che potrebbero essere riparate dai prezzi più bassi nel 2020”.
Necessari altri dolorosi compromessi
John Kilduff, socio fondatore dell’hedge fund energetico con sede a New York Again Capital, afferma che l’attuale situazione del greggio necessita di altri dolorosi compromessi da parte dei trivellatori USA.
”Non ci sono dubbi: dovranno essere pazienti nel mantenere la produzione ridotta abbastanza a lungo da controbilanciare il peggior periodo mai visto per la domanda di greggio”, spiega Kilduff. “So che sembra crudele non essere in grado di beneficiare dal produrre più barili quando se ne presenta l’opportunità. Tuttavia, questa è la migliore cura a lungo termine per bilanciare il mercato”.
Il cambiamento dei trend di produzione nel Permiano costituisce un avvertimento anche per i long sul mercato. Dice Kilduff:
“Per gli hedge fund che hanno incessantemente spinto su il greggio, questo è un altro segnale del fatto che il mercato non è pronto per prezzi intorno ai 25 dollari, per non parlare di 30 dollari”.
Nota: Barani Krishnan non possiede e non ha una posizione su nessuna delle materie prime o asset di cui scrive.