L’appetitosa lista delle cosiddette compagnie unicorno - startup private con valutazioni superiori al miliardo di dollari - con debutto previsto nel 2019 ha spinto molti a credere che questo sarebbe stato l’anno più straordinario per le offerte pubbliche iniziali (IPO) dal 1999. Uber (NYSE:UBER), Lyft (NASDAQ:LYFT) e WeWork sono stati forse i più attesi dell’elenco, che comprende anche Pinterest (NYSE:PINS), Levi Strauss (NYSE:LEVI) e Cloudflare.
Ma, con il 2019 che comincia a volgere al termine, qualcosa è chiaramente andata nel verso sbagliato per molti di questi unicorni. Quasi nessuno ha tenuto fede alle promesse fatte agli investitori.
Solo quattro mesi dopo la sua IPO, il colosso del ride hailing Uber Technologies (NYSE:UBER), che un tempo puntava ad una quotazione da 120 miliardi di dollari, è scambiato a 34,29 dollari ad azione, con una capitalizzazione di mercato pari a meno della metà di quella cifra. LYFT, che mirava ad una valutazione da 24 miliardi di dollari in vista dell’IPO, al momento è scambiato a 48,06 dollari, con una capitalizzazione di mercato di 14 miliardi di dollari, con un crollo del 41% dal suo prezzo iniziale.
E, mentre scriviamo, è arrivata la notizia che WeWork ha rinviato il suo roadshow e che la data dell’IPO - inizialmente prevista per settembre - è stata posticipata per via della tiepida richiesta da parte degli investitori. In una dichiarazione rilasciata dalla compagnia e riportata ieri dal Wall Street Journal si legge:
“The We Company [compagnia madre di WeWork] non vede l’ora di arrivare all’imminente IPO, che si stima venga completata entro la fine dell’anno”.
Inoltre, “negli ultimi giorni i dirigenti ed i sottoscrittori si sono rassegnati ad una cifra vicina ai 15-20 miliardi di dollari o forse meno, secondo persone informate dei fatti”. La valutazione della compagnia, che all’ultimo round di finanziamenti privati si stimava essere di 47 miliardi di dollari, continua a crollare, in conseguenza di irregolarità aziendali ed incoerenze che probabilmente continueranno a minare l’offerta e la sua capitalizzazione di mercato.
Cosa sta causando questa discrepanza e deludendo gli investitori? Pensiamo che si tratti del drastico squilibrio tra le aspettative dei mercati privati e di quelli pubblici.
Perdite di affari e redditività
Per quanto riguarda la tolleranza per le perdite di ricavi e l’assenza di una strada chiara verso la redditività, i mercati pubblici e privati la vedono in modo nettamente diverso. Ovviamente, tutte le startup cominciano come entità private e molte non hanno e non avranno mai un profitto.
Ecco perché i fondi di venture capital funzionano in questo modo: tendono ad investire su numerose decine di compagnie, prevedendo che solo da tre a cinque di esse che alla fine avranno successo copriranno le perdite delle altre che sono fallite. Inoltre è comune sui mercati di private equity che le compagnie nelle prime fasi operino in perdita, con ulteriori finanziamenti che vengono raccolti in un altro round di investimenti da parte di azionisti nuovi o già esistenti, spesso con valutazioni più alte in quanto ci si concentra unicamente sulla crescita.
I mercati pubblici hanno standard più conservativi. Sebbene la crescita alta sia apprezzata, gli investitori si aspettano che le compagnie quotate in borsa siano più mature e che rispondano già a delle domande chiave: questa compagnia sarà mai redditizia? Se sì, quando, e quanto denaro ci vorrà per arrivare alla redditività?
È eloquente il fatto che, delle tre compagnie su cui ci siamo concentrati, nemmeno una riesca a rispondere a queste domande, neanche le due già arrivate in borsa. Tuttavia, la differenza di approccio del pubblico/privato nei confronti del business model è solo parzialmente responsabile.
Il loop dei riscontri positivi
Quando una compagnia è privata, la gestione deve interagire solo con un numero limitato di azionisti. WeWork, che offre in locazione ed in affitto spazi condivisi per uffici, ad esempio, ha dovuto avere a che fare soprattutto con la compagnia di investimenti nipponica SoftBank, che ha già dedicato 2 miliardi di dollari alla startup. Convincere una stanza piena di persone di SoftBank delle prospettive di WeWork è molto più semplice che trovarsi sotto la lente di ingrandimento di milioni di investitori.
Acquisire una partecipazione in una compagnia privata è difficile: i proprietari devono essere intenzionati a vendere una parte della loro attività e, per gli azionisti, la liquidità è limitata. Naturalmente, tutti i nuovi azionisti sono rialzisti sulla compagnia. Le voci di dissenso non sarebbero ricompensate con una parte dell’operazione.
E questo crea un loop di riscontri positivi che aiuta ad alimentare valutazioni più alte, che siano realistiche o meno. I mercati pubblici sono molto meno ingenui … la maggior parte delle volte.
Una continua spinta per avere di più
Prima che una compagnia arrivi in borsa, gli azionisti arrivati durante gli ultimi round di finanziamento vedono l’offerta pubblica come un modo per avere un profitto, ma solo se le azioni pubbliche vengono valutate più di quanto valga la loro partecipazione privata. Ed è proprio così che l’imminente valutazione IPO di WeWork è diventata inizialmente tanto esorbitante. I suoi investitori privati, insieme al sottoscrittore Goldman Sachs, all’inizio dell’anno hanno proposto una valutazione di 65 miliardi di dollari. Accecati dall’avarizia, nessuno di loro si è disturbato di dare un’occhiata approfondita ai reali fondamentali della compagnia.
La valutazione pre-IPO di Uber (NYSE:UBER) da 120 miliardi di dollari ha seguito lo stesso schema; e lo stesso vale per Lyft (NASDAQ:LYFT). Debuttare in borsa con una bella valutazione va bene, ma offrire le azioni a quella che obiettivamente è una valutazione esorbitante è tutta un’altra cosa. Questi tentativi di ottenere somme di denaro improponibili dai mercati pubblici hanno scatenato reazioni negative da parte di investitori e media di una portata raramente vista prima. Centinaia di articoli hanno criticato queste IPO, con gli investitori che si sono ribellati ad una serie di offerte con valutazioni eccessive, tra cui quella di WeWork.
Quando gli investitori hanno capito che queste compagnie intendevano abusare dei mercati pubblici, non sono più tornati indietro o, nel caso di WeWork, sono aumentate le difficoltà nel procedere con una IPO problematica.
Lezioni imparate
Per le compagnie che prendono in considerazione una IPO, il debutto in borsa non rappresenta affatto un’uscita miracolosa verso un futuro prosperoso se l’offerta non include, per lo meno, un business model sostenibile. Se non lo hanno, dovrebbero almeno puntare ad una valutazione ragionevole in modo che i nei della compagnia abbiano qualche possibilità di passare inosservati allo sguardo di investitori sempre più critici.
Agli investitori retail che pensano che partecipare all’IPO di una compagnia sia una strada sicura per la ricchezza diciamo: non fatevi sedurre da marketing allettanti e sostanziose valutazioni private. Non significheranno molto quando le azioni della compagnia arriveranno in borsa. Quando una compagnia debutta in borsa, le condizioni cambiano. La sua valutazione, anziché aumentare costantemente, potrebbe altrettanto facilmente andare in caduta libera.