MILANO (Reuters) - Fra i vari significati di "via della seta" può anche esserci quello di punto di incontro fra italiani con la necessità di far tornare a casa con una parvenza di legalità il denaro frutto di traffici illeciti, e cinesi con l'esigenza di inviare in madrepatria con identica apparente liceità denaro frutto di altre attività sommerse.
E' quello che ritiene di aver appurato la Guardia di Finanza di Pordenone che ha comunicato oggi di aver scoperto una "maxi frode internazionale" dietro a un traffico illecito di rifiuti metallici per 300 milioni di euro, con 150 milioni di euro trasferiti in Cina.
L'inchiesta coordinata dalla procura antimafia di Trieste, si legge nella nota, ha condotto finora a cinque arresti, 53 indagati, a un sequestro di 66 milioni di euro e a 50 perquisizioni in Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Lombardia. Ma le indagini sono ancora in corso, in particolare sul versante cinese.
Lo schema, si legge nel comunicato, si componeva di due diversi contesti.
Nel primo, un gruppo di italiani del Nordest dal 2013 a quest'anno ha dato vita a un traffico di rifiuti metallici (rame, ottone, alluminio) "per circa 150.000 tonnellate, pari a circa 7.000 autoarticolati, aggirando gli obblighi ambientali e di tracciatura vigenti, utilizzando fatture per operazioni inesistenti".
L'acquisto di questi rifiuti ovviamente avveniva in nero, ma per venderlo alle acciaierie c'era bisogno di emettere fatture. "A questi soggetti serviva quindi una copertura fiscale", spiega il colonnello Stefano Commentucci, comandante provinciale della Gdf di Pordenone. "E quindi entravano in gioco società compiacenti, del tipo 'missing trading', con sede in Repubblica Ceca e Slovenia che emettevano fatture per operazioni inesistenti di vendita di materiale ferroso alle società filtro di questi soggetti".
Per rendere credibili queste operazioni, spiegano i finanzieri nel comunicato, a questo punto occorreva fare dei veri bonifici bancari a favore delle società ceche e slovene.
"Le indagini ci hanno fatto scoprire quindi bonifici a queste società per inesistenti importazioni di ferro per 150 milioni di euro, tutti in istituti di credito nella Repubblica Popolare Cinese", continua il colonnello.
E si arriva così al secondo contesto.
I cinesi residenti in Italia e in affari con questo gruppo di italiani, si legge nella nota, disponevano "di ingenti risorse finanziarie in denaro contante, frutto di economia sommersa e altre attività di tipo criminoso".
Il loro problema era di far arrivare questo denaro in Cina "con evidenti difficoltà logistiche e legali correlate alla detenzione di così ingenti disponibilità detenute con liquidità contante".
La soluzione erano quindi i bonifici in Cina da parte degli italiani per le operazioni inesistenti. Una volta che i cinesi in Italia ricevevano dalla Cina la conferma dell'avvenuto accreditamento delle somme di denaro, consegnavano agli italiani le stesse cifre in contanti, in buste di plastica all'interno di centri commerciali a Milano e a Padova.
"Abbiamo anche filmato la consegna di una busta della spesa di plastica con dentro 200.000 euro in contanti", racconta il comandante provinciale della Gdf. "Senza le intercettazioni, l'attività di pedinamento e soprattutto le microcamere, non saremmo mai riusciti a ricostruire questo meccanismo".
"Fino a qualche tempo fa si assisteva a questo genere di trasferimento di denaro dall'Europa alla Cina attraverso i cosiddetti money-transfer", dice il colonnello Commentucci. "Poi però le indagini hanno reso molto difficile quella modalità, e ora chi vuol far arrivare il contante in Cina deve inventarsi altre strade, come quella che abbiamo scoperto".
(Emilio Parodi, in redazione a Milano Sabina Suzzi)