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di Giulio Zangrandi e Chiara Santilli (FocusRisparmio)
Le banche centrali non smettono di giocare tiri mancini ai mercati finanziari. Se infatti la Bce ha in parte sorpreso gli analisti con la recente scelta di aumentare i tassi di interesse dell’Eurozona per la decima volta consecutiva, la Federal Reserve non si è dimostrata da meno e mercoledì ha sì confermato la pausa che tutti si aspettavano ma in una chiave decisamente più ‘hawikish’ di quanto previsto. In quello che è il secondo stand by dal marzo 2022, quando iniziò la battaglia contro l’inflazione, il presidente Jerome Powell ha infatti lasciato i tassi di interesse al livello del 5,25%-5,5%. Una scelta compensata dall’annuncio di un altro aumento del costo del denaro entro fine anno e di una riduzione da due a quattro dei tagli previsti per il 2024. Resta ora da capire come evolverà lo scenario marco-economico, con i gestori ancora in dubbio su hard e soft-landing ma convinti di una cosa: è tempo di puntare sull’obbligazionario.
Picco al 5,6% nel 2023 e meno tagli nel 2024
L’atteso dot plot, il grafico che ogni tre mesi raccoglie le previsioni dei membri della Fed sull'andamento dei tassi, ha mostrato come in dodici vedano un'altra stretta di 25 punti base nel 2023 contro sette che puntano invece sullo status quo. I banchieri centrali, in sostanza, si aspettano un valore mediano dei tassi al 5,6% per l’intero anno in corso. E hanno portato al 5,1% dal 4,6% l’attesa per il prossimo anno. Questo significa che l’istituto mette in conto un taglio di 50 punti base nel 2024, contro la sforbiciata di 100 punti base prevista a giugno. La stagione del calo vero slitta così al 2025: in questa finestra temporale il costo del denaro è visto in calo al 3,9% dal 3,4% della precedente previsione per poi arrivare al 2,9% nel 2026. Nel lungo periodo la stima è la stessa di tre mesi fa: 2,5%.
Gestori divisi sulle prospettive macro
Francesco Sandrini, responsabile delle Strategie Multi-Asset di Amundi, ritiene che il quadro disegnato dalla Fed sia realistico. Intervistato dalla redazione di FocusRisparmio, il manager si è infatti soffermato proprio sul livello medio dei tassi al 2024 indicato dalla banca centrale, che è salito dello 0,5% rispetto alla precedente lettura. “Questo ci induce a pensare che il costo del denaro rimarrà elevato per un periodo probabilmente un po' più lungo”, ha spiegato. Quanto agli impatti sull’economia, Sandrini ha sottolineato come le incognite all’orizzonte siano ancora molte: “Negli ultimi mesi abbiamo visto una crescita americana ancora piuttosto solida, corroborata da una politica fiscale espansiva che ha creato condizioni importanti sul mercato del lavoro e sui consumi, ma il meccanismo di trasmissione della politica monetaria di solito può prendere più tempo rispetto a quanto inizialmente stimato”. Senza trascurare il peso di fattori esogeni come l'incremento del prezzo del petrolio a circa più 30 % da giugno: tutte variabili “di cui la Fed dovrà tenere conto”.
“La crescita del Pil reale è stata molto più resiliente, con conseguenti revisioni sostanziali delle proiezioni economiche dei membri del Fomc”, ha invece spiegato Tiffany Wilding, north american economist di Pimco. Nella prospettiva della north american economist di Pimco, le nuove stime implicano infatti una notevole accelerazione della produttività e un aumento del tasso di interesse naturale di breve periodo: variabili che riporteranno l'inflazione verso il basso senza aumento del tasso di disoccupazione o crescita inferiore al trend. Tuttavia, Wilding si dice preoccupata per la sostenibilità a breve termine del recente tasso di crescita reale del 2%.
Guarda l’intervista a Francesco Sandrini (Amundi) su FR|Vision
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