La conferenza sul clima si è tradotta in un nulla di fatto, mentre i grandi inquinatori come India e Cina continuano a far affidamento sul carbone
Piange il presidente della Conferenza sul Clima Cop26 dopo l’accordo sul clima firmato dai 197 Stati presenti a Glasgow. Alok Sharma, già ministro del governo May e ora responsabile per lo sviluppo industriale sotto Boris Johnson, sa che gli obiettivi inseriti nel testo finale della conferenza sono notevolmente al di sotto delle attese e fanno trasparire tutte le difficoltà di compromesso tra i Paesi che hanno preso sul serio Parigi 2015 e tra quelli che fanno ancora affidamento ai combustibili fossili come risorsa principale.
IL TESTO
Il set-back più importante del documento ufficiale è il cambio di linguaggio. Da “azzeramento” (phase out) dell’energia a carbone si passa alla “riduzione graduale” (phase down) dei combustibili fossili, e si chiede a Paesi di “rivedere” gli obiettivi al 2030 entro la fine del 2022 “tenendo conto del contesto nazionale”. Gli impegni rimangono essenzialmente quelli di sei anni fa: contenimento entro 1,5°C e taglio del 45% delle emissioni di gas serra entro il 2030. Poca roba, soprattutto se si considera che per molti studiosi, il decennio attuale è “cruciale” per la lotta al cambiamento climatico. Il testo, di fatto, rimanda tutto di un anno, e cioè alla COP27 che si terrà a Sharm el-Sheikh, Egitto, nel 2022, quando i 197 Paesi faranno di nuovo il punto sull’emergenza clima, ma intanto un altro anno sarà..
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge