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Crolla l'erogazione dei crediti in Usa, ma non si può parlare di 'credit crunch'

Pubblicato 10.05.2023, 10:45
Aggiornato 10.05.2023, 10:49

Di Alessandro Albano

Investing.com - 37,2%. E' questa l'entità della riduzione dei crediti erogati dalle banche americane nel primo trimestre rispetto alla fine del 2022, un trend che ha preso piede già lo scorso anno con l'avvio dell'aumento dei tassi da parte della Fed e che ha interessato sopratutto le banche regionali americane.

Istituti, questi, che sono molto legati all'economia reale, e che giocano un ruolo molto importante in certi settori economici e soprattutto nel finanziamento del commercial Real Estate, che ha dimensioni importanti tanto negli Stati Uniti quanto in Europa.

Andrea Delitala, Head of Euro Multi Assete Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management fanno notare in una nota inviata ad Investing.com che il comparto CRE supera "i 10.000 miliardi di dollari in valore in USA, collocandosi a circa 9000 miliardi in Europa".

Ma, spiegano i due esperti, "non siamo ancora davanti ad un credit crunch, più probabilmente solamente a un credit tightening in settori specifici, come quello dell’immobiliare commerciale".

Tuttavia, per gli operatori del settore che devono affrontare notevoli rifinanziamenti del debito o che sono esposti a tassi di interesse variabili, il rischio è che "gli interessi da pagare sul debito siano superiori a quello che viene incassato soprattutto dagli affitti degli uffici".

Da Pictet assicurano che comunque "non ci stiamo certamente avviando verso un nuovo 2008, in quanto il valore di questi immobili non è così elevato come quello del residenziale e perché il rapporto loan to value è nettamente più basso".

Per questi motivi, potremmo assistere a delle riduzioni del credito disponibile ma "non a problemi di ricapitalizzazione del sistema bancario in maniera generalizzata".

Un'altra area da tenere sotto controllo è quella del credito commerciale non investment grade che è cresciuta molto negli ultimi anni con tassi di default bassissimi, spingendo le banche ad aumentare la propria esposizione.

"Nello stesso arco temporale, però, si è assistito anche all'ingresso di nuovi operatori, non bancari: fondi, obbligazioni e fintech", evidenziano Delitala e Piersimoni, aggiungendo che questo "modera il rischio diretto che le banche hanno verso il credito commerciale di bassa qualità, ma dall'altro lato ha aumentato notevolmente l'esposizione delle banche a operatori finanziari non bancari con un CAGR del 9% dal 2011 al 2021".

L’altro elemento sotto i radar: il capitale

Registrando il campo alla capitalizzazione delle banche, da Pictet fanno notare come le politiche restrittive delle banche centrali abbiano determinato grosse perdite non contabilizzate nel bilancio delle banche, soprattutto quelle regionali.

Per le banche europee il problema è minore in quanto per una questione di regolamentazione queste perdite in parte sono già contabilizzate.

Restando negli Stati Uniti, pur essendo essenzialmente sotto controllo, Pictet ritiene che "la crisi della Silicon Valley Bank avrà una serie di conseguenze sul sistema bancario", con "un aumento delle fusioni bancarie, specie per quanto riguarda le banche regionali il cui business model è a rischio sostenibilità".

In particolare, gli esperti prevedono:

  • una maggiore regolamentazione;
  • un aumento della tassazione;
  • stress test ancora più stringenti con possibili minori ritorni di capitale per gli azionisti;
  • una stretta creditizia e l'aumento delle perdite dai crediti;
  • la pressione sui margini di interesse a causa di un più alto costo della raccolta;
  • minore redditività e un maggior costo del capitale.

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