Potrebbe essere lo Stretto di Hormuz lo scenario del prossimo braccio di ferro tra l'Iran e gli Stati Uniti. Area cruciale per le forniture di petrolio, la regione è da tempo una delle zone maggiormente sensibili nelle tensioni tra la repubblica islamica e i paesi occidentali. Dopo l'uccisione del generale Suleimani le quotazioni del greggio sono salite del 3 per cento, e la prospettiva di un possibile blocco del traffico nell'intero Golfo persico preannuncia nuovi rialzi.
Per farsi un'idea dell'importanza strategica dello Stretto di Hormuz basti un dato del governo statunitense, secondo il quale il 21 per cento di tutto il petrolio trasportato nel mondo è passato da qua: facile immaginare le conseguenze economiche su scala globale, di un possibile blocco iraniano su quelle acque. "Se si interrompe il flusso del greggio in uscita dalla regione, avremmo necessariamente una forte pressione al rialzo dei prezzi", spiega Edward Bell, direttore al Commodities Research negli Emirai Arabi Uniti.
Se si interrompe il flusso del greggio in uscita dalla regione, avremmo necessariamente una forte pressione al rialzo dei prezziEdward Bell
Da qui passa il petrolio estratto da Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar. Nonostante i tentativi di diversificare la distribuzione degli idrocarburi con la costruzione di oleodotti e l'apertura di nuovi canali, la quota di petrolio che ogni giorno attarversa lo Stretto di Hormuz rimane decisiva. "Molti paesi della regione hanno investito nella diversificazione della distribuzione del greggio. L'Arabia Saudita esporta dal Mar Rosso, gli Emirati possono farlo da Fujairah, che aggira Hormuz... In questi ambiti non si dispone della stessa competenza tecnica che c'è nei porti del Golfo, ma rappresentano lo stesso una possibilità alternativa di alimentare il mercato del greggio anche in presenza di un blocco prolungato", aggiunge Bell.
Scenari col prezzo del petrolio alle stelle non allarmano più di tanto gli Stati Uniti, che grazie al boom nella produzione di shale oil sono saliti al terzo posto nella classifica dei paesi produttori, dopo Arabia Saudita e Russia.