Punire i propri campioni per proteggere il regime sarebbe autolesionista per una Cina impegnata nella sfida con gli Usa, ma se alla fine crea più competizione replicherebbe il successo del Giappone nell’auto 50 anni fa
La Cina stringe la morsa sui suoi stessi colossi di Internet. L’ultimo caso risale a sabato 24 luglio, quando la State Administration for Market Regulation, l’antitrust di Pechino, ha minacciato di ritirare a Tencent la licenza per l’esclusiva sui diritti musicali e l’ha multata per comportamento anti-competitivo, dandole 30 giorni per adeguarsi. La big tech cinese ha subito risposto che si adeguerà alle richieste, si assumerà le sue ‘responsabilità sociali’, e darà il suo contributo per una ‘sana competizione’ di mercato. Il caso di Tencent è solo l’ultimo in pochi mesi, e fa seguito all’inchiesta sulla cybersecurity aperta a inizio luglio su Didi, scattata subito dopo la mega Ipo lanciata dalla piattaforma di mobilità e consegne.
I PRECEDENTI DELLA STRETTA SUI TECH
L’anno scorso Pechino aveva punito Alibaba con una multa antitrust da 2,8 miliardi di dollari e sospeso l’Ipo da 34,5 miliardi di dollari di Ant Group, mentre ad aprile la stessa authority che è intervenuta sabato aveva richiamato 34 società, tra cui anche Tencent e ByteDance, ordinando indagini interne per verificare l’adempimento agli obblighi anti-monopolio. Tutti casi che si aggiungono agli strani ‘esili’ che si sarebbero (auto?) imposti diversi miliardari cinesi, a cominciare da Jack Ma, il fondatore di Alibaba. Il tutto ha sollevato molti dubbi sulla sincerità dell’adesione della Cina al libero mercato, di cui comunque il presidente Xi Jinping si dichiara campione globale...
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge