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Mercati emergenti: ecco 3 possibili sorprese da tenere d'occhio

Pubblicato 03.10.2023, 13:34

Nelle difficoltà si celano le opportunità. L’abbiamo sentito ripetere a nastro, soprattutto durante la pandemia di Covid 19, al punto che il mantra è stato spesso trasformato in barzelletta da chi sottolinea che, guardandoci alle spalle, forse non è andato tutto bene. Sul piano economico, effettivamente, la ripresa post-Covid è stata anche più alta delle attese, ma non si può dire sia durata a lungo, schiacciata dalla corsa dell’inflazione. Più alto e più a lungo è il livello su cui le banche centrali promettono di tenere i tassi d’interesse per curare proprio il carovita. E c’è da credergli, o almeno è quello che fanno le Borse americane ed europee, pronte a vibrare dopo ogni dichiarazione di Jerome Powell e Christine Lagarde.

In ogni caso il risultato è che, tra spinta inflattiva e risposta monetaria, la crescita si è azzerata e i venti di recessione continuano a preoccupare le economie occidentali.

Dall’altra parte del mondo le cose vanno meglio, ma non troppo. Crisi del settore immobiliare, debito elevato e invecchiamento della popolazione rallentano la crescita della Cina. Secondo il rapporto di ottobre della banca mondiale, il Pil del dragone crescerà del 4,4% nel 2024 in ribasso rispetto al 4,8% previsto ad aprile.

E allora, visto che le economie trainanti deludono e le buone notizie scarseggiano, l’esercizio di Antony Kettle, senior portfolio manager Emerging markets di RBC BlueBay, è quello di andare a scovare opportunità nei mercati emergenti, tra quegli Stati che hanno del potenziale economico, ma al momento, per un problema o per l’altro, non lo stanno sfruttando.

Argentina: aria di cambiamento

È questo il caso dell’Argentina. “Negli ultimi quattro anni, il Paese ha subito i contraccolpi di una fallimentare politica economica. Dopo il default del debito nel 2020, il governo di Alberto Fernández ha successivamente optato per la stampa di moneta per finanziare il consistente deficit nazionale, portando l'inflazione al 115,6% lo scorso giugno”, racconta Kettle.

Cuore del Fútbol e patria del tango, nominare l’Argentina in campo economico rievoca i fantasmi della crisi del 2001, poi sfociata in gravi disordini sociali e in un periodo di instabilità, il cui fardello viene tramandato tutt’ora da governo in governo. Tuttavia, per il manager ci sono diverse ragioni che permettono di essere ottimisti sul futuro albiceleste.

“Innanzitutto, l'Argentina sta investendo in una vasta riserva di gas di scisto denominata Vaca Muerta. In passato, la solidità del paese quale esportatore di prodotti agricoli è sempre stata compensata dal fatto di essere un importatore netto di energia. Tale situazione sta per cambiare. Il passaggio a un surplus energetico potrebbe contribuire ad arginare il deflusso di dollari, consentendo l'importazione di beni necessari alla crescita dell'economia”.

In secondo luogo, prosegue l’esperto, “a ottobre si terranno le elezioni nazionali. Prevediamo che i risultati economici del governo spingeranno i cittadini a votare per altri schieramenti, aprendo le porte a un governo più favorevole al mercato e con politiche economiche più ortodosse”.

Infine, “come nel caso dell'Ucraina, i bond argentini sono scambiati a valutazioni molto basse. Il mercato non si è ancora ripreso in modo solido dal default del 2020 e i prezzi si aggirano tra i 25 e i 35 centesimi di dollaro. Ciò significa che gli investitori sono ragionevolmente protetti al ribasso, con catalizzatori positivi potenzialmente in vista”.

Turchia: la direzione è quella giusta

Come successo all'Argentina, anche la Turchia ha risentito di una gestione economica poco ortodossa. La banca centrale che nell’ultimo periodo sta ricorrendo a maxi-aumenti dei tassi per contrastare un’inflazione salita oltre il 60%. Secondo gli analisti, la colpa è del presidente Erdoğan che nel corso degli anni ha bloccato i rialzi dei tassi d’interesse nonostante i prezzi continuassero a salire.

Per mantenere il tasso di cambio stabile, poi, ha speso le riserve valutarie nazionali. Ma la mossa non è servita e la lira continua a perdere nei confronti del dollaro.

“La Turchia si differenzia dall'Argentina per il fatto che le elezioni politiche generali si sono già svolte ed Erdoğan è ancora in carica. Tuttavia, sono presenti segnali da cui si evince che la politica economica sta comunque diventando più ortodossa. Mehmet Şimşek è stato nominato al Ministero delle Finanze e Hafize Gaye Erkan alla Banca centrale, con il mandato di rialzare i tassi d’interesse.

Di conseguenza, da giugno, i tassi d’interesse sono saliti di 21,5 punti percentuali, raggiungendo il 30%. La Turchia ha anche cercato di ridimensionare la spesa pubblica e ridurre lo stimolo sul fronte della domanda introdotto prima delle elezioni. Tale cambiamento è interessante perché la Turchia beneficia di dati demografici molto positivi e, in quanto ponte tra Asia ed Europa, di una posizione geopolitica privilegiata a livello globale”, spiega il gestore di RBC BlueBay.

“Tuttavia, sussiste ancora uno spazio per la cautela. I mercati hanno già dato un certo credito a Erdoğan per la sua svolta politica, pertanto, le valutazioni non appaiono così attraenti come quelle dell’Argentina. Inoltre, la Turchia ha ancora molta strada da fare per tenere a freno l'inflazione ed Erdoğan è noto per abbandonare un corso politico ortodosso, quindi, la strada da percorrere potrebbe essere accidentata”.

Nonostante i numerosi ostacoli, la direzione di marcia sembra quella giusta secondo Kettle. “La Turchia può sembrare costosa rispetto ad altri titoli sovrani a singola B, ma, se la situazione continuasse a stabilizzarsi, riteniamo che le agenzie potrebbero effettuare un upgrade dei rating, o almeno mettere il paese sotto osservazione positiva.

Siamo inoltre dell’idea che, nel breve termine, potranno presentarsi delle opportunità nelle obbligazioni indicizzate all'inflazione, visto che è probabile che proseguiranno i consistenti aumenti dei prezzi nei prossimi mesi”.

Ucraina: il rimbalzo nel futuro

In ultimo, nella sua analisi il gestore riserva un posto anche per il Paese simbolo dei contrasti geopolitici odierni: l’Ucraina.

“Kiev sta pagando a caro prezzo l'invasione russa. Sebbene giungano occasionalmente notizie che l'esercito stia guadagnando terreno, lo spargimento di sangue e la distruzione proseguono. I costi di questa situazione in termini di vite umane sono estremamente ingenti”, premette Kettle prima di sottolineare che “per quanto riguarda la prospettiva degli investitori, il caso dell'Ucraina è piuttosto positivo”.

Una delle ragioni principali è che “l'economia ucraina ha registrato un andamento decisamente migliore di quanto si aspettasse la maggior parte delle persone. I fondamentali hanno evidenziato un indebolimento, ma nemmeno lontanamente equiparabile a quanto lascerebbe prospettare il calo delle valutazioni: dall'inizio del conflitto, le obbligazioni sovrane ucraine sono infatti scese da circa 100 centesimi di dollaro ad appena 25”.

Inoltre, prosegue l’analista “il nostro giudizio sull'andamento del conflitto è relativamente costruttivo. La Russia registra risultati piuttosto scarsi sul campo di battaglia, pertanto, individuiamo del potenziale per una sorta di conclusione o congelamento del conflitto. Quando la guerra ebbe inizio, l'Ucraina fu costretta a sospendere i pagamenti relativi alle sue obbligazioni. Se si riuscisse a trovare una soluzione, potremmo prevedere una ristrutturazione del debito durante il prossimo anno. Riteniamo che ciò potrebbe comportare un recupero delle valutazioni, che potrebbero così superare l'attuale intervallo di negoziazione di 25-30 centesimi di dollaro”.

Secondo Kettle, “gli obbligazionisti avranno un ruolo da svolgere nel finanziamento delle opere di ricostruzione in un'Ucraina post-bellica, ed è improbabile che venga loro offerto un accordo punitivo in questo senso. Un’opzione è che i beni russi congelati, o almeno i rendimenti maturati sugli stessi, possano essere utilizzati per sovvenzionare le opere necessarie”.

Considerata l'incertezza, tuttavia, la tempistica dell'ingresso su questo mercato rimane complessa. Per l’esperto di RBC BlueBay, però, gli investitori hanno la possibilità di assumere una posizione anticipata su queste obbligazioni: “A 25-30 centesimi di dollaro, il ribasso è infatti naturalmente più limitato”.

Insomma, tra spettri del passato e minacce più che mai concrete, la strada da compiere per Argentina, Turchia e Ucraina è ancora tanta e il rischio di fallimento è altissimo. Tuttavia, secondo l’analista, se è vero che nelle difficoltà si celano le opportunità, in futuro questi tre Paesi potrebbero rialzarsi, regalando anche qualche soddisfazione agli investitori.

Per approfondire, leggi un articolo che spiega cosa sono i Titoli di Stato e quale tassazione viene applicata sui rendimenti.

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