Di Alessandro Albano
Investing.com - Manca poco all'inizio del voto per l'elezione del nuovo presidente della Repubblica (15:00 CET), una corsa che potrebbe durare fino al 3 febbraio e vedere diverse fumate nere prima del nome definitivo.
Sono 1.009 i grandi elettori che indicheranno il nuovo inquilino del Quirinale: 315 senatori, 630 deputati e 58 delegati regionali, 3 per ogni Regione (uno per la Valle d’Aosta). Nelle prime tre votazioni, serve la maggioranza dei due terzi dell’assemblea (673) per eleggere il capo dello Stato, mentre dalla quarta in poi votazione è necessaria solamente la maggioranza assoluta (505 voti).
Per le normative anti-Covid, ci sarà una sola votazione al giorno con massimo 200 persone presenti in Aule. Entreranno 50 grandi elettori alla volta e si voterà per fasce orarie in ordine alfabetico, con ogni scrutinio che dovrebbe durare per circa 4 ore. Voteranno prima i senatori a vita, gli altri senatori, poi i membri della Camera ed infine i rappresentati delle Regioni.
Attenzione allo spread
Come mai accaduto nella storia repubblicana italiana, quest'elezione potrebbe avere delle serie ripercussioni sul risk profile del Paese, che da qui al 2026 deve spendere gli oltre 200 miliardi del Recovery Fund, sul quale pesa un debito/Pil di oltre il 155% e che con la fine del PEPP della BCE potrebbe registrare una pressione al rialzo sul costo del debito.
"I mercati dovrebbero essere rassicurati", spiegano gli analisti di NatWest (LON:NWG) quindi il rischio maggiore è che la presidenza finisca con "un nome non condiviso, sconvolgendo la Pax Romana (o Pax Dragum) tra i partiti, e lasciando il posto a un nuovo governo con un nuovo premier o elezioni anticipate che potrebbe portare ad un governo guidato da Lega e FdI".
Secondo le stime della banca britannica che segue diverse emissioni del Mef, il miglior risultato possibile - anche con poche possibilità - è la conferma dello status quo attuale (Matterella al Colle e Draghi a Chigi) che garantirebbe un ribasso dello spread sul Bund di 15 punti base. Anche un nome condiviso alla Repubblica e l'ex Bce come premier potrebbero vedere un calo dello spread di 7 punti base, mentre Draghi fermo nella sua posizione di Pm avrebbe un effetto di 3 punti base (scenario lontano).
Vista l'instabilità che ne potrebbe derivare, anche Draghi al Quirinale metterebbe più pressione allo spread (+3 punti base). Tuttavia, il rischio peggiore è non avere Draghi né al Colle né a capo del governo con elezioni anticipate, un contesto che potrebbe portare la differenza con il titolo tedesco a +20 bps, mentre un rialzo di 10 punti base potrebbe arrivare da un cambio di governo senza Draghi ma con continuità di legislatura (scenario molto improbabile).
"Un accordo sul nuovo presidente della Repubblica è lo scenario più probabile", spiegano da NatWest (LON:NWG). "C'è poco appetito per le elezioni anticipate: i sondaggi politici si sono evoluti notevolmente dal 2018 e la maggior parte dei parlamentari non sarebbe comunque rieletta, inoltre il nuovo Parlamento si ridurrà di un terzo rispetto al prossimo turno elettorale a causa di una modifica costituzionale votata nell'attuale legislatura riducendo ulteriormente ogni possibilità di rielezione. C'è anche un calcolo economico: i parlamentari non percepiranno la pensione a meno che non rimangano eletti fino a settembre".
Tutte le ipotesi in campo
Sono state diverse le personalità che, nelle ultime settimane, si sono susseguite nel toto-nomi: dalla presidente del Senato Maria Casellati a Pierferdinando Casini, dall'ex presidente della Corte Costituzionale e ora ministro per la Giustizia Marta Cartabia, ad ex premier come Giuliano Amato o Paolo Gentiloni.
La candidatura più risonante è stata, tuttavia, quella dell'ex premier Berlusconi, ma la sua uscita di scena, annunciata sabato sera, ha aperto la strada dell'incertezza sui possibili nomi che verranno proposti dal centro-destra, con la coalizione che "è pronta a presentare diversi nomi di alto profilo" a detta di Salvini.
"In campo ci sono diverse opzioni", ha spiegato ad Investing.com Lorenzo Castellani, assegnista di ricerca in Storia delle Istituzioni Politiche presso la Luiss di Roma, "tra cui rimescolare il governo e mandare Draghi al Colle supportato dalla maggioranza, e forse anche da Fratelli d'Italia, con un accordo di governo, ipotesi abbastanza forte".
"Dal centro destra potrebbe arrivare il nome di un politico istituzionale vicino alle loro posizioni come l'ex ministro degli esteri Frattini o Marcello Pera, un ipotesi che dovrebbe passare la prova del Parlamento. Se dovesse non passare i primi 3 scrutini, dal quarto potrebbe tornare l'ipotesi Draghi o una figura più terza, mentre l'ultima ratio è Mattarella bis anche se è abbastanza improbabile sia per le volontà di Mattarella stesso sia per il dialogo vivace delle forza politiche".
Per l'esperto di scenari politici, il centro sinistra (Conte e Letta), bloccato dal nome di Berlusconi, "non riesce a fare un nome condiviso" anche se "potrebbe giocare d'anticipo proponendo un nome forte a cui la destra non può dire no, ma in questo momento sta scegliendo di aspettare".
"Esiste la lontana possibilità di un presidente eletto con una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo", aggiunge Castellani, in quanto con un nome forte Meloni "potrebbe votare con i partiti di governo". "E' una soluzione più difficile - precisa - perchè il centrodestra non ha i voti per eleggere il presidente da solo, quindi serve almeno l'aiuto di Renzi". E comunque più possibile, secondo l'accademico, che il nuovo capo dello Stato venga sostenuto "da tutta la maggioranza con il sostegno di Fratelli d'Italia".
Il futuro dipende da qui
Draghi o non Draghi, è difficile non affermare che il futuro dell'economia italiana non dipenda dalla traiettoria politica dei prossimi mesi. "Minacciare la stabilità politica potrebbe indebolire il percorso delle riforme in Italia", scrive in una nota Luigi Scazzieri, senior research fellow del Centre for European Reform, visto l'ammontare del debito che grava sul bilancio di Stato e i soldi (di cui molti a prestito) che arriveranno dalle tranche del Fondo di Ripresa europeo.
Garantire che questo debito rimanga sostenibile grazie a una crescita economica più forte, sottolinea Scazzieri, "è fondamentale per la stabilità della zona euro", e visto che "il Fondo è stato, in parte, istituito per rafforzare l'economia italiana, il suo successo o il suo fallimento potrebbe determinare il destino della futura integrazione fiscale in Europa".
In sostanza, gli sforzi avviati dal governo Draghi "dipenderanno dai risultati delle elezioni del 2023", e con un mantenimento dello slancio riformista "l'economia italiana sarà rafforzata, il suo debito diventerà più sostenibile e le fondamenta dell'euro diventeranno più solide".