L’attacco agli impianti sauditi però ha messo in luce una vulnerabilità completamente nuova che potrebbe incidere anche a lungo sul premio di rischio del greggio. Contraccolpi su Aramco ma non sull’inflazione
Alla fine la botta è arrivata, anche se per ora l’impatto sui mercati è limitato. E’ almeno da metà luglio che su Financialounge scriviamo che le tensioni nel Golfo meritano un posto importante nella lista dei fattori di rischio che incombono su Borse ed economie. Nonostante i titoloni della mattina di lunedì 16 settembre, che parlavano del balzo più forte del petrolio dai tempi dell’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nel 1991, l’impatto dell’attacco agli impianti produttivi sauditi partito dallo Yemen sembra contenuto. Nei primi minuti dopo la mezzanotte europea, all’apertura dei mercati in Asia-Pacifico, il Brent è schizzato di quasi il 20% e il Wti di oltre il 15%, ma è durato pochissimo, e il rialzo si è ridimensionato nelle ore successive a livelli che non sembrano poter impattare violentemente i mercati. Però resta il nervo scoperto, che condizionerà il comportamento degli investitori per un periodo abbastanza lungo.
TRE FRONTI DA TENERE SOTTO OSSERVAZIONE
I fronti da tenere d’occhio oltre a quello del prezzo del greggio sono almeno tre: l’inflazione, che un periodo prolungato di petrolio in rialzo potrebbe risvegliare, il comportamento dei titoli più direttamente legati al petrolio, e infine la mega Ipo non si sa più quanto imminente del colosso saudita del greggio Aramco...
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge