di Massimiliano Di Giorgio
ROMA (Reuters) - La riforma che punta a trasformare la Rai in un'azienda competitiva, guidata da un vero amministratore delegato, dovrebbe essere approvata entro fine mese dal Senato, ma rischia di impantanarsi alla Camera, anche per le resistenze di una parte del Pd, il partito del premier Matteo Renzi.
Per questo l'esecutivo, riferisce una fonte governativa a Reuters, sta valutando l'ipotesi di far votare il nuovo consiglio di amministrazione del broadcaster pubblico con la 'vecchia' legge Gasparri, varata dal centrodestra un decennio fa.
Il governo ha anche depositato un emendamento che prevede l'aumento immediato dei poteri del direttore generale, figura della Gasparri che scomparirebbe con la nuova legge, sostituito dall'AD. In questo modo, anche se il cda fosse eletto con la precedente legge, il dg potrebbe 'comandare' a Viale Mazzini.
La fonte non esclude nemmeno il ricorso a un decreto, misura finora esclusa pubblicamente da Renzi perché aprirebbe un nuovo scontro con il Parlamento.
Sul testo pesano 1.500 emendamenti (metà a firma leghista) ma secondo la fonte "c'è una trattativa con le opposizioni per sfrondarli". E Raffaele Ranucci, senatore Pd e relatore del ddl, si dice fiducioso che a Palazzo Madama "rispetteremo i tempi".
I problemi potrebbero arrivare alla Camera perché anche nel Pd c'è chi rivendica modifiche al testo.
UN VERO AD, UN CDA PIU' PICCOLO. AUTUNNO DECISIVO
E' il caso del deputato Michele Anzaldi, un renziano convinto secondo il quale però la nuova versione del ddl, rispetto a quella di aprile, "dà pochi poteri all'AD e troppi alla Commissione di vigilanza Rai" mantenendo "la lottizzazione dei partiti", uno dei problemi storici dell'azienda pubblica, che conta 12.000 dipendenti e un fatturato di quasi 3 miliardi di euro.
Altri esponenti del Pd e delle opposizioni ritengono invece che la riforma prevede una figura di AD troppo forte con potere di decisione autonoma per spese fino a 10 milioni di euro, e la contemporanea riduzione del peso del presidente, ridotto a carica di rappresentanza.
La Commissione di Vigilanza, che pure non eleggerà più il cda, sarà comunque chiamata a ratificare le loro dimissioni, in caso di "licenziamento" da parte dell'assemblea dei soci. E dovrà confermare il presidente con 2/3 di voti. Il che lascia ancora un certo peso ai partiti sulla materia.
Il consiglio di amministrazione sarà più snello, composto da 7 membri contro gli attuali 9: 4 eletti dal Parlamento, 2 dal governo (attraverso il Tesoro, che è l'azionista di maggioranza) e 1 dai dipendenti Rai.
In attesa del via libera il cda scaduto a maggio è in carica in regime di proroga ma, secondo la fonte, "non è intenzione del governo fare durare la prorogatio ancora per mesi".
"Se a settembre, massimo inizi ottobre", non accadrà nulla, sarà il ministero del Tesoro a dare il via all'assemblea degli azionisti per eleggere un altro cda con le vecchie regole.