di Steve Scherer
ROMA (Reuters) - L'Italia sta facendo la sua parte per identificare i migranti e gestirne il flusso, ma molti Paesi dell'Ue non si dimostrano solidali con quelli che si trovano in prima linea nella crisi.
Lo ha detto oggi in un'intervista a Reuters il prefetto Mario Morcone, a capo del Dipartimento immigrazione del Viminale, spiegando che il sistema di 'relocation' studiato dall'Ue non funziona come dovrebbe.
In cambio della cosiddetta relocation, Italia e Grecia hanno accettato di creare degli 'hotspot' dove identificare i migranti.
Nell'Unione c'è chi pensa che i migranti dovrebbero restare negli hotspot anche dopo l'identificazione; Austria e Slovenia questa settimana hanno annunciato che intensificheranno i controlli alla frontiera per impedire ai migranti di andare a nord verso la Germania, alimentando i timori che la crisi migratoria, la più grave in Europa dalla Seconda guerra mondiale, possa portare alla fine della libera circolazione delle persone nell'Ue, uno dei pilastri di Schengen.
"Sul piano degli hotspot e dell'identificazione, l'Italia sta assolutamente facendo la sua parte", spiega Morcone. "Nessuno può chiederci di fare campi di concentramento perché noi campi di concentramento non ne facciamo. Nessuno può pensare che Italia e Grecia da sole possano risolvere problemi che appartengono a tutti e 28 i Paesi d'Europa".
L'Italia ha ricevuto oltre 320.000 migranti negli ultimi due anni, e i barconi continuano ad arrivare dal Nord Africa: solo oggi la Guardia costiera ha salvato 359 persone.
Con oltre 100.000 persone nei suoi centri, l'Italia ha potuto riallocare solo 257 richiedenti asilo, nell'ambito di un piano che ha l'obiettivo di ridistribuire 40.000 migranti in due anni.
Il processo di relocation "deve essere profondamente semplificato. Alcuni controlli di sicurezza potrebbero essere fatti nel Paese di destinazione", spiega Morcone.
Alcuni dei 28 membri del blocco, tra cui la Svezia, si sono mostrati molto generosi; ma "dove sono gli altri 20?", si chiede il prefetto, che sottolinea poi come "gli attentati di Parigi hanno ulteriormente complicato questa situazione".
Un eventuale stop a Schengen "non potrebbe resistere davanti alla sofferenza del popolo siriano, o degli yazidi, o alla sofferenza in Africa centrale o occidentale. La chiusura delle frontiere non li fermerebbe".