di Massimiliano Di Giorgio
ROMA (Reuters) - Dopo che i ballottaggi nelle grandi città hanno registrato la sconfitta del centrosinistra, nel Pd aumentano le critiche al ruolo del segretario Matteo Renzi, e oggi uno dei suoi principali sostenitori, il ministro Dario Franceschini, gli chiede di "ricucire" i rapporti con l'elettorato e la coalizione.
In un'intervista al quotidiano "La Repubblica", il ministro della Cultura ed ex segretario Pd chiede anche di sostenere una legge elettorale che premi le coalizioni, e di evitare un accordo di governo con Forza Italia.
Il dibattito nel partito democratico e alla sua sinistra sembra aver allontanato la prospettiva di elezioni anticipate, mentre la maggioranza di governo si prepara ad approvare il decreto sulle banche venete e discute del provvedimento sullo ius soli e del codice antimafia.
Nei giorni scorsi critiche alla leadership di Renzi - rieletto alla guida del Pd con oltre il 70% alle primarie di aprile - sono venute non solo dalla sinistra interna ma anche dall'ex leader Walter Veltroni e dall'ex premier Romano Prodi.
L'uscita di Franceschini, che gode di un ampio seguito tra i parlamentari e tra i membri della direzione Pd, è un segnale più consistente del disagio nel partito.
Renzi, che non attribuisce al voto delle amministrative un significato politico nazionale, ieri sera ha risposto alle critiche via web dicendo che "i militanti del Pd non meritano le polemiche del gruppo dirigente" e che le discussioni sulle coalizioni "non producono nulla".
Un primo confronto diretto tra Renzi e gli avversari interni ci sarà il 10 luglio, quando si riunirà la direzione del Pd.
I DUBBI SULLA LEADERSHIP
In sostanza, i critici imputano allo scarso appeal di Renzi l'astensionismo (ai ballottaggi ha votato meno del 50% degli elettori) e gli chiedono di sostenere una coalizione di centrosinistra, sgomberando il terreno da possibili intese con il centrodestra dopo le elezioni politiche.
Un mese fa, secondo un sondaggio Ixé, Renzi riscuoteva una fiducia del 30%, rispetto al 34% del premier Paolo Gentiloni e al 23% del possibile candidato premier del M5s Luigi Di Maio.
Nell'ottobre 2014, dopo pochi mesi dal suo ingresso a Palazzo Chigi, la fiducia in Renzi era al 49%, mentre a marzo 2015 era calata al 40%, per arrivare poi al 31% del settembre 2016.
A dicembre Renzi, perso il referendum costituzionale, si è dimesso da premier, lasciando il posto a Gentiloni.
Da allora l'ex "rottamatore", dopo un breve periodo di silenzio, si è occupato a tempo pieno del Pd, cercando però allo stesso tempo una "finestra" per tornare al governo con le elezioni anticipate.
Nelle ultime settimane, dopo aver sostenuto due diverse proposte di sistema di voto, ha stretto un accordo con Forza Italia, M5s e Lega per una legge elettorale proporzionale con soglia di sbarramento al 5%. L'intesa però è saltata dopo che il M5s e i franchi tiratori alla Camera hanno sostenuto un emendamento che il Pd osteggiava.
Se si andasse a votare col sistema attuale (proporzionale con premio di maggioranza alla Camera e soglie di sbarramento di lista alla Camera; proporzionale secco al Senato, ma con soglie di sbarramento diverse per liste e coalizioni), il Pd sarebbe il secondo partito dopo il M5s, secondo un sondaggio EMG diffuso lunedì, ma non si riuscirebbe a formare alcuna coalizione di governo.
Dopo il voto delle amministrative, sono aumentati gli appelli a varare una legge elettorale che premi le coalizioni. Lo chiede anche la Lega Nord di Matteo Salvini, che contesta a Silvio Berlusconi di voler fare un accordo col Pd. Ma Forza Italia e M5s sono contrari.
E la commissione Affari Costituzionali della Camera, dove è tornato il testo della legge elettorale dopo lo stop in aula, non tornerà a discutere della questione almeno prima della settimana prossima.