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Focus sui mercati emergenti

Pubblicato 25.10.2011, 18:49
BMAm
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I mercati emergenti globali sono scesi drammaticamente negli ultimi mesi, e attualmente vengono scambiati a circa il 40% in meno rispetto al picco raggiunto alla fine del 2007. Le valutazioni sono ora vicine ai minimi storici, con l’Indice dei mercati emergenti (MSCI Global Emerging Markets Index) che scambia a circa 9 volte le previsioni di utile dei prossimi dodici mesi, un livello che abbiamo visto soltanto nella fase più profonda della crisi finanziaria del 2008, durante la crisi asiatica del decennio precedente e durante la crisi russa della fine degli anni ’90.

Il livello di queste valutazioni è altresì abbastanza sorprendente per quanto riguarda Russia, Corea, Brasile e Turchia che vengono scambiate a sconto su queste valutazioni già molto basse. Il mercato US che quest’anno ha registrato performance migliori rispetto ai mercati emergenti, si trova ora a un premium price del 28%. Lo sconto dovrebbe diminuire con il tempo, a causa delle migliori prospettive di crescita dei mercati emergenti.

Il consensus sulla crescita degli utili nei mercati emergenti, basato sull’Indice dei Mercati Emergenti MSCI, si aggira attorno al 16% per i prossimi 12 mesi. Le aspettative di crescita degli utili sono scese durante tutto l’anno a causa dell’indebolimento dell’economia globale, in particolar modo per quanto riguarda le prospettive di crescita per l’Europa. Alcuni paesi come Cina, Brasile e India hanno fatto ricorso a significativi rialzi del tasso di interesse per contenere l’inflazione nelle loro economie, rallentando in questo modo la crescita.

La visibilità in alcuni settori è stata ostacolata dai relativamente brevi cicli di giacenza messi in atto dalle aziende come reazione alla crisi del credito. Mantenendo basso il livello di scorte, infatti, le aziende si proteggono dall’alto capitale di esercizio. Tuttavia, questi “brevi cicli” fanno sì che i fornitori, molti dei quali localizzati nei mercati emergenti, abbiano meno visibilità sugli ordini futuri rispetto al passato. Gli ordini vengono sì effettuati, ma in lotti più ridotti e con maggiore frequenza, rendendo più incerte le previsioni sugli utili della produzione. Lo stesso può valere per le aziende che operano nei settori ciclici e legati alle materie prime, che stanno attraversando un periodo di volatilità elevata dei prezzi e di incertezza della domanda da parte del cliente.

Sulla base dei nostri dati, riteniamo che per i titoli che abbiamo attualmente in portafoglio ci sia la possibilità di un rialzo pari a circa il 30%, includendo le prospettive di utili previsti per il prossimo anno, i dividendi e un discreto ritorno a multipli più regolari. Gli investitori hanno inoltre assistito a un calo delle valute dei mercati emergenti pari a circa il 9% dal mese di agosto. Questo potrebbe generare ulteriori ritorni, dal momento che il calo di queste valute sembra essere la conseguenza di fondamentali superiori a livello macro o di differenziali dei tassi di interesse offerti da questi Paesi. In ogni caso è necessario tenere presente che i mercati possono salire così come scendere, e quindi qualsiasi previsione rimane tale, e non può essere garantita.

Le nostre stime vedono un significativo rialzo in Asia, prossimo al 40%, e in America Latina, pari in media al 30%. La regione EMEA mostra un rialzo pari a circa il 20%, pur avendo già scontato l’impatto delle recenti tensioni sui mercati. Questo potrebbe sorprendere, ma noi crediamo che i rischi di contagio per l’Unione Europea restino molto alti per i Paesi CE3 come Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. Al tempo stesso, la Russia ha dimostrato di essere particolarmente sensibile alla recente crisi europea, aggravata dalla debolezza del petrolio e delle risorse naturali. I titoli legati al Sud Africa si caratterizzano per un’elevata visibilità degli utili, ma la loro recente sovraperformance riduce la possibilità di ulteriori ritorni.

A livello di settore, quello industriale altamente ciclico mostra i rialzi più evidenti, in particolar modo per quanto riguarda i titoli asiatici. Altrove, sono interessanti il settore dei materiali e, sempre più spesso, quello finanziario. Settori sovraperformanti come beni di largo consumo, farmaceutico e telecomunicazioni sono attualmente meno attraenti e, a tempo debito, ci aspettiamo un allontanamento da parte degli investitori.

La volatilità valutaria, come risulta dalle nostre valutazioni del rischio, si trova a livelli molto elevati – in linea con quelli registrati nei momenti di massima difficoltà dei mercati, come durante la crisi finanziaria del 2008 e la crisi russa alla fine degli anni ’90. Non crediamo che tale situazione possa protrarsi a lungo, pertanto ci aspettiamo una diminuzione dell’instabilità già nel breve periodo. La nostra opinione è che molti investitori non si sono ancora adattati alle nuove realtà economiche dell’era G20. Europa e Stati Uniti sono ora la “dimora del rischio” e i mercati emergenti sono sempre più spesso i fornitori di liquidità e stabilità.

I segnali su cui ci concentreremo con particolare attenzione sono gli spread tra i titoli obbligazionari tedeschi e quelli dei Paesi dell’Europa meridionale, l’indice VIX degli Stati Uniti, gli spread obbligazionari dei mercati emergenti e l’andamento del dollaro americano. Tutti hanno mostrato di recente un elevato livello di rischio, ma stranamente gli spread nell’Eurozona si sono stabilizzati, forse suggerendo che la tensione nel continente europeo sta arrivando a un punto di svolta. Gli investitori possono ridurre al minimo i rischi legati all’instabilità nei mercati emergenti adottando un orizzonte temporale adeguato e sfruttando i periodi di debolezza per aggiungere nuove posizioni. E’ importante riequilibrare con regolarità il proprio portafoglio al fine di ottenere profitto.

Ciò che ha colpito di più dei mercati emergenti durante le difficoltà di questa estate è stato come siano stati in grado di attuare politiche monetarie relativamente ortodosse. Paesi così diversi tra loro come Brasile, Russia, India e Cina hanno attraversato tutti un ciclo di allentamento durante la crisi del 2008, seguito da una stretta negli ultimi 12-18 mesi. Le banche centrali dei mercati emergenti attuano misure tradizionali per contrastare l’inflazione e garantire la stabilità dell’economica domestica. Escludendo alcuni Paesi come Russia e Ungheria, vediamo poche o addirittura nessuna “banca zombie” che causi stress finanziario e, in generale, il governo e i debiti privati sembrano essere sotto controllo. La politica monetaria ha ampi spazi di manovra per facilitare il più possibile le banche centrali dei mercati emergenti, qualora le condizioni lo richiedano, e non escludiamo che vengano messe in atto misure fiscali nel caso in cui la situazione globale peggiori.

Chris Palmer - Gestore del Fondo Henderson Emerging Markets Opportunities

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