La tassa al 40% sugli extraprofitti rischia di colpire anche i Titoli di Stato, con effetti negativi per le finanze italiane. In un discorso dei giorni scorsi, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, è stato il primo a sollevare il problema della tassazione dei Btp.
Questa prospettiva, secondo quanto scrive Laura Serafini sul Sole 24 ore, è già una certezza ed è la conseguenza del modo in cui il governo ha impostato l’operazione extraprofitti.
La norma, infatti, introduce una nuova aliquota del 40% sul margine di interesse delle banche che hanno sede in Italia, per la precisione sulla quota che eccede del 5% il margine di interesse del 2022.
Questo margine include non solo i proventi derivanti dalla differenza del costo della raccolta e dal tasso di interesse sui prestiti, ma anche i profitti derivanti dai rendimenti dei titoli di Stato. Prima di questa norma, le banche pagavano una tassa del 26% più un'addizionale del 3,5% sui titoli di Stato. Per le persone fisiche, invece, è prevista un’aliquota ridotta al 12,5% proprio per incentivare l’acquisto dei titoli di debito pubblico italiani. La nuova norma, spiega il quotidiano finanziario milanese, ha invece l’effetto di introdurre per le banche una ulteriore imposizione indeducibile del 40%, che si aggiunge a quella già esistente.
In altre parole, lo Stato disincentiva gli istituti finanziari a investire sulle obbligazioni che lui stesso ha emesso. Non solo su quelli emessi negli ultimi mesi, come Btp Valore Gn2027 Eur e Btp short term, che hanno rendimenti più alti perché parametrati all’aumento dell’inflazione, ma anche quelli meno remunerativi emessi quando i tassi erano ancora a zero.
In sostanza, in un periodo in cui la Banca centrale europea ha ridotto gli acquisti sui titoli di Stato dei Paesi Ue e non ci si può più finanziare a tassi bassi con questi strumenti, con ogni probabilità le banche saranno portate a puntare su altri titoli a medio lungo termine che offrono rendimenti migliori.
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