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Inflazione vicina al 3%: il “freno” cinese sembra essere solo un ricordo

Pubblicato 23.03.2018, 13:48
Aggiornato 23.03.2018, 13:00
Inflazione vicina al 3%: il “freno” cinese sembra essere solo un ricordo

Inflazione vicina al 3%: il “freno” cinese sembra essere solo un ricordo

La Cina sembra archiviare la bassa inflazione e punta al target del 3% sotto la regia della banca centrale che vigila sui tassi e sul controllo del rischio finanziario.

La Cina non sarà più come in passato una fonte di disinflazione globale. A certificarlo i dati dell’indice cinese dei prezzi al consumo (CPI) di febbraio rimbalzato al +2,9% su base annua (YoY), l’aumento più forte dal 2013. Sebbene la festività del Capodanno cinese abbia spinto i prezzi degli alimentari a febbraio, il CPI core (inflazione meno volatile dal momento che esclude alimentari ed energia), ha accelerato del 2,5% su base annua (rispetto a una media del 2,2% negli ultimi tre mesi): il ritmo più veloce dal quarto trimestre del 2011. Non solo. I prezzi dei servizi sono aumentati di oltre il 3% su base annua, il tasso più elevato in sei anni.

INFLAZIONE MEDIA 2018 AL 2,7%

“Prevediamo che l’indice CPI cinese mantenga questo slancio e si attesti al 2,7% medio nel 2018, un cambiamento piuttosto marcato rispetto all’1,6% nel 2017. Sebbene si tratti di un livello ancora inferiore all’obiettivo del 3% fissato dalla Banca popolare cinese (PBOC), ci aspettiamo che la banca centrale continui quest’anno la normalizzazione della politica monetaria” commenta Isaac Meng, Portfolio Manager per i mercati emergenti PIMCO che, tuttavia ravvisa altri segnali, oltre i più recenti relativi al CPI, che segnalano un’inflazione sostenuta nel paese nel prossimo anno.

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POTENZIALE DI PRODUZIONE IN GRADUALE DIMINUZIONE

“Il potenziale di produzione della Cina, infatti, sta gradualmente diminuendo a causa dell’invecchiamento della popolazione e il tasso di crescita del PIL del 6,9% nel 2017 era superiore al potenziale” puntualizza Isaac Meng ricordando come la capacità industriale in eccesso si stia rapidamente ridimensionando. Si tratta di un fenomeno strutturale, avviato dai politici di Pechino dal 2016, quando cioè hanno adottato tagli drastici alla capacità industriale: il risultato è stato quello di far salire l’utilizzo della capacità industriale dal 73% (minimo del primo trimestre 2016) al 78% (quarto trimestre 2017) mentre l’indice cinese dei prezzi alla produzione (IPP) si è impennato di quasi 11 punti percentuali.

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RENMINBI CINESE STABILE

A tutto questo va ad aggiungersi il fatto che il renminbi cinese adesso è stabile o tende a rafforzarsi invece che affrontare una persistente pressione di svalutazione come nel 2015-16. Oltre alla caduta dei prezzi delle materie prime, la forte svalutazione del renminbi di due anni fa rappresentava un importante canale di trasmissione della pressione della disinflazione interna cinese verso l’economia globale. Dal 2017, tuttavia, la PBOC ha bilanciato con successo i deflussi di valuta e invertito la pressione di svalutazione attraverso una combinazione di controllo macroprudenziale, restrizione della liquidità e interventi mirati.

LA REGIA VIGILE DELLA BANCA CENTRALE

“Prevediamo che queste condizioni continueranno nel corso di quest’anno. La reflazione cinese dovrebbe essere sostenuta dal mercato del lavoro verso la piena occupazione e dall’aumento dei prezzi al consumo, mentre la disciplina dell’offerta e una valuta stabile dovrebbero mitigare gli effetti di deflazione dalla Cina sui prezzi delle materie prime e sui tassi di cambio” sostiene Isaac Meng, secondo il quale la PBOC (sotto il nuovo governatore Yi Gang) continuerà a concentrarsi sui suoi obiettivi di normalizzazione dei tassi e di controllo del rischio finanziario, operando un graduale rialzo dei tassi di interesse.


** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge. Una parte di contenuti e dati gentilmente concessi da Pimco


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